Transessualità nel mondo LGBT: tra miti, luoghi comuni e quello che c’è oltre

Articolo di: Silvia Selviero


Di tutte le bestie selvagge, l’ignoranza è la più difficile da trattare.”
(Platone)




Uno dei falsi miti che – purtroppo – riguardano la comunità LGBT (Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender) è che si tratti di una specie di oasi in un universo omofobico, bifobico e transfobico, dove le persone più disparate possono essere accomunate dalla stessa bandiera, forti di un’unica, solida ideologia.

Di solito a credere una cosa del genere è soprattutto chi ne è totalmente fuori (quindi la stragrande maggioranza di eterosessuali e cissessuali), perché più si esplora questo mondo e più si capisce che in realtà è un miscuglio di idee, opinioni personali, giudizi ben argomentati e giudizi affrettati, pregiudizi consolidati e confutati, dibattiti archiviati o ancora accesi, porte aperte e porte chiuse in faccia, e di categorie e singoli individui diversissimi tra di loro.

Di conseguenza, anche all’interno del movimento c’è un miscuglio di idee, opinioni personali e quant’altro sulla transessualità.

Come viene vista la transessualità nella stessa comunità in cui dovrebbe essere inclusa? Quali sono gli stereotipi più dannosi per un dialogo reale, scevro da preconcetti, tra persone che sono transessuali e persone che non lo sono? Cercherò di rispondere a queste domande nell’articolo qui presente, in primo luogo rapportando il discorso all’omosessualità.

Tra omosessualità e transessualità corre una crepa profonda, ma a volte le persone non riescono a vederla o possono essere sia transessuali che omosessuali, e questo favorisce una confusione pazzesca sull’argomento.

Perciò penso sia meglio chiarire innanzitutto quello che le due cose sono.
L’omosessualità è un orientamento sessuale: ha a che fare con l’amore (o con l’attrazione), quindi una persona omosessuale può innamorarsi di (o essere attratta da) una persona del suo stesso sesso.
La transessualità ha a che fare invece con l’identità di qualcuno, e coinvolge il suo sesso (cioè l’essere nati anatomicamente maschi o femmine) e il suo genere (cioè la percezione di sé e i ruoli sociali dati al maschile e al femminile; per dirlo in maniera più semplice, in effetti, “il genere è quello che sentiamo di essere”).
Di solito le persone cissessuali hanno il sesso e il genere “allineati” (esempio: io sento di essere una donna – e questo è il mio genere – e anatomicamente ho il corpo di una donna – e questo è il mio sesso), mentre nelle persone transessuali sono “in collisione” (esempio: io sento di essere una donna – e questo è il mio genere – ma anatomicamente ho il corpo di un uomo – e questo è il mio sesso).
Questa “collisione” è ciò che sta alla base del DIG (Disturbo dell’Identità di Genere, italianizzazione del GID, ovverosia il Gender Identity Disorder), e una diagnosi di Disturbo dell’Identità di Genere è al giorno d’oggi indispensabile perché le persone transessuali possano avere accesso al percorso di transizione – e quindi riallineare il corpo con lo spirito.

Da questo cosa deduciamo? Deduciamo che, pur essendo due cose diverse, l’una non esclude l’altra. La mia identità di genere non mi preclude la possibilità di avere qualsiasi orientamento sessuale, e di certo, quando si ha una mentalità aperta, non si finisce per considerare “meno donna” o “meno uomo” chi si innamora di una persona del suo stesso genere.

Ora, sebbene la strada da percorrere per garantire alle persone omosessuali gli stessi diritti delle persone eterosessuali sia ancora lunga, si può constatare senza problemi che nel mondo di oggi ci sia più ignoranza sulla transessualità che sull’omosessualità, e che ci sia più “paura” di parlare della prima che della seconda.
È per questo che chi è omosessuale ha compiuto passi in avanti notevoli rispetto a chi è transessuale nella nostra società omotransfobica, ed è un fatto che le associazioni LGBT (nonché i singoli individui) rimarcano, talvolta in maniera scherzosa (ad esempio con vignette esplicative come quella qui sotto), ma talvolta anche in maniera molto seria (ad esempio con lettere aperte e manifestazioni). 


Una cosa che purtroppo avviene in conseguenza di questa disparità di trattamento è che i pregiudizi, l’ignoranza e gli stereotipi dell’esterno finiscono per intaccare la possibilità di instaurare un dialogo e una comprensione sinceri tra le categorie all’interno della sigla LGBT, e nei casi peggiori, una minoranza inizia ad opprimere ed emarginare un’altra minoranza.

Le dimostrazioni di questo sfortunatamente abbondano nel mondo omosessuale. Che dire di Grindr, applicazione per iPhone e blackberry che permette a uomini gay di conoscere altri uomini, e che blocca sistematicamente tutti i profili di ragazzi gay che contengono le parole “FtM”, “trans” e “transgender”? O degli uomini gay cissessuali che non uscirebbero mai con uomini gay in transizione, e che non fanno mistero del loro disgusto quando gli viene chiesto? O del Michigan Womyn’s Music Festival, festival musicale femminista che accoglie solo “donne nate donne”, negando l’accesso quindi alle donne MtF (Male To Female – una transessuale da uomo a donna) e alle donne transessuali al grido di “Siccome sono cresciute da maschi non hanno sofferto le discriminazioni patriarcali allo stesso modo delle donne nate donne”, di “Hanno esperienza di privilegi maschili”, di “Noi siamo un gruppo oppresso e abbiamo il diritto di organizzare associazioni che accolgano chi ci pare”, di “Le donne nate donne che sono state stuprate o aggredite dagli uomini potrebbero spaventarsi vedendo delle donne nate uomini al festival” e di “Così anche gli uomini cissessuali si metteranno un vestito fingendosi trans per entrare a spiarci”? Tutti episodi intrisi della peggiore transfobia, che implicitamente seguono la logica del “Ci dispiace, sei una persona troppo diversa per andare bene a noi diversi, vattene coi tuoi simili” e negano un gruppo di appartenenza a chi invece potrebbe rivelarsi una miniera d’oro per fornire altri punti di vista, arricchire il bagaglio culturale e impegnarsi per l’intera comunità con un’energia del tutto nuova.

E quando non si tirano in ballo le discriminazioni dirette? Già soltanto l’ignoranza può fare grossi danni e arrecare molto dolore. Cito senza indugio “Romeos”, film tedesco del 2011 con protagonista un ragazzo FtM gay, che si sente chiedere dalla sua migliore amica come faccia a identificarsi in quanto ragazzo se allo stesso tempo è attratto dai ragazzi, e risponde irritato che “una cosa non ha nulla a che vedere con l’altra”. Questa stupefacente mancanza di empatia è ancora più grave pensando che la sua migliore amica è lesbica: allora come fa a non chiedersi perché a lei, che si identifica come ragazza, piacciano altre ragazze? Non solo un discorso del genere è transfobico, è anche omofobico, perché suggerisce che gli uomini e le donne “autentici” debbano essere solo eterosessuali.

Ma la questione si limita ai film? Ovviamente no, i film sono solo uno specchio di quanto accade nella vita reale. A testimonianza di ciò prendiamo anche il sito Cinema Gay, che si occupa di promuovere “film che possano piacere a un pubblico omosessuale” (non solo a tematica gay, anche incentrati sulla diversità in generale), e che alla recensione di “Boys Don’t Cry” anziché raccontare la trama preferisce mettere in dubbio l’identità maschile del protagonista (“forse non è una donna”, “Brandon vuole essere un maschio”), incentrarsi su come cerchi di nascondere il suo corpo neanche fosse una caricatura (“si esercita a corrucciare le sopracciglia per avere uno sguardo da duro, da maschio”), e che nei commenti non migliora perché dà a Brandon Teena della “androgena”, “ragazza che desidera disperatamente essere un ragazzo”, “ragazza che rifiuta totalmente di appartenere al sesso femminile”, “ragazza butch” e considera il film una denuncia di “omofobia”. Ignoranza che diventa ancora più grave, offensiva e umiliante pensando che Brandon Teena ha ispirato questo film ma è realmente esistito, è stato assassinato nel 1993 nello stesso crimine d’odio a sfondo transfobico raccontato nel film ed è stato sepolto con il nome anagrafico femminile – finendo per non essere rispettato nei suoi desideri e nella sua vera identità neppure nella morte.

C’è bisogno di rimarcare che se l’ignoranza viene da chi è all’interno della comunità LGBT chi ne è fuori ne capirà ancora di meno, e mancherà di rispetto alle persone transessuali in misura comunque grave (proprio di recente abbiamo avuto il caso della trentasettenne Nicole, i cui funerali si sono svolti ricordandola come un uomo e alla quale è stato dato il maschile persino dalla stampa)? Che continuerà a confondere i concetti e a mischiare le carte in tavola, e rappresenterà sempre chi è transgender come un* omosessuale all’ennesima potenza, e chi è omosessuale come qualcuno che vuole cambiare sesso (si veda l’accozzaglia di cliché del personaggio di Rayon, donna MtF del film “Dallas Buyers Club”, e le proteste che ha scatenato)?

Come al solito, però, è sbagliato generalizzare. La stessa cappa di ignoranza, stereotipi e pregiudizi che colpisce chi è transessuale funziona anche al contrario, fatto sta che esistono alcune persone transessuali con i paraocchi quando si tratta di omosessualità.

Possiamo prendere il romanzo “Dillo alla luna” di Hazeem Saghieh, in cui la protagonista Randa – una donna MtF algerina –, vissuta in un clima di inconsapevolezza e sessuofobia, non appena scopre di essere una transessuale aggiunge:

Gay” non era la parola giusta per me. Chi si definisce così non si considera una donna e fondamentalmente non vuole esserlo. Ciò che sente è di essere un uomo, non importa se sessualmente attivo o passivo, e non desidera altro poiché questo è quanto basta alla sua identità. E infatti molti omosessuali tengono in particolar modo ad affermare la propria mascolinità e si prendono cura del proprio corpo perché sia atletico e muscoloso. Ma per me le cose sono completamente diverse, e molto più complicate. Io so che non avrò un’identità sessuale finché non diventerò anche fisicamente una donna; solo allora potrò riappacificarmi con me stessa ed essere felice. Forse è per questo che molti gay detestano i transessuali: noi rappresentiamo la linea di confine che può essere attraversata, a patto di volerlo; siamo come uno specchio che rimanda loro l’immagine di ciò che sono veramente, e non è un’immagine facile da accettare.

(pp. 84-85)

Accusare chi è omosessuale di pigrizia e vigliaccheria perché non vuole riappropriarsi della sua vera identità (che lei crede essere femminile) e al contempo negare che siano due situazioni diverse (una che riguarda l’amore, una che riguarda l’identità) in quanto a suo avviso è naturale solo l’attrazione eterosessuale è un capolavoro di omofobia e di eterosessismo dettati dalla disinformazione e da pregiudizi personali. Randa continua a confondere identità e amore più volte nel testo:

Andare a letto con Siham esacerbava la mia avversione per il ruolo maschile ed era sempre più chiaro che detestavo recitare la parte dell’uomo; poiché non sono bisessuale, non riuscivo ad accettare il fatto di dover giocare a fare il marito.

(p. 112)

E si dimostra addirittura misandra e grande sostenitrice degli stereotipi di genere, a svantaggio sia di uomini sia di donne:

È stato allora [dopo episodi di bullismo e molestie] che ho iniziato a pensare che i maschi siano costituzionalmente incapaci di afferrare concetti quali l’empatia per i propri simili o l’ideale di un’umanità condivisa. Ritengo infatti l’uomo un essere rozzo e governato da istinti primitivi che lo fanno assomigliare a una bestia; un essere cui interessa solo ciò che vuole, e che desidera ottenerlo subito. La donna non è così; ha il cuore sensibile e l’animo delicato, ed è lei che infonde calore nelle relazioni con gli altri esseri umani. La donna non è completa se non attraverso l’altro, questa è la vera nobiltà e la vera umiltà, mentre l’uomo basta a se stesso e cerca l’altro soltanto per servirsene.
(pp. 37-38)


E persino senza scomodare forme di omofobia così palesi c’è chi non ne rimane immune. È il caso di Dhillon Khosla, uomo transessuale autore dell’autobiografia “Both Sides Now: One Man’s Journey Through Womanhood”, che a pagina 66, ad un gruppo di sostegno per ragazzi FtM, afferma a chiare lettere:

I couldn’t help but notice that the two men who were speaking against hysterectomies were identified as gay men. From earlier conversation, I also knew that both of them were not strongly driven toward any type of lower surgery. And I couldn’t help but wonder if there was a correlation between their sexual orientation and their gender identity. Were straight men more likely to be psychologically attached to an exclusively male body?

Traduzione:

Non potei fare a meno di notare che i due uomini che si pronunciavano contro l’isterectomia si identificavano come gay. Da conversazioni precedenti sapevo inoltre che entrambi non erano fortemente propensi ad avere qualsiasi tipo di intervento chirurgico ai genitali. E non potei fare a meno di domandarmi se ci fosse una correlazione tra il loro orientamento sessuale e la loro identità di genere. Che gli uomini eterosessuali fossero più congeniali ad agognare a livello psicologico un corpo esclusivamente maschile?

Ancora una volta la stessa confusione, ancora una volta lo stesso implicito, presuntuoso suggerimento che chi è omosessuale non sia “un uomo a tutti gli effetti” o “una donna a tutti gli effetti”, ancora una volta lo stesso dare per scontato che le scelte personali dei singoli individui siano dettate dal loro orientamento sessuale e che sia congeniale per loro agire in un determinato modo.

Atteggiamenti del genere sono dannosi anche perché, come sostiene il blogger Tommykaine, inducono di frequente a cercare un capro espiatorio per la propria sofferenza, qualcuno a cui attribuire le “colpe” dello status quo.
Forse per qualche transessuale ignorante la colpa è di gay effeminati e lesbiche butch, perché se non intendono affrontare la transizione e si sentono a posto nel loro sesso di nascita dovrebbero essere virili o femminili secondo gli stereotipi.
Forse per qualche omosessuale ignorante la colpa è di chi è transessuale, perché “se si mettono troppo in mostra la maggioranza che ci discrimina penserà che anche noi vogliamo cambiare sesso, e non otterremo mai la parità dei diritti in quanto uomini e in quanto donne che amano altri uomini e altre donne” – dimenticando o ignorando l’esistenza di transessuali gay, bisessuali o pansessuali.
Forse per qualche omosessuale ignorante la colpa è di chi è transessuale ed etero, perché “sono solo omosessuali che non si accettano, tentano di legittimare la loro attrazione per lo stesso sesso diventando del sesso opposto a quello di nascita e accaparrarsi gli stessi diritti della maggioranza che ci discrimina.”
Forse per qualcuno di ignorante la colpa è da addossare semplicemente a chi è diverso o diversa da sé, a chi vuole esprimere se stesso o se stessa in una maniera che rifiuta le etichette e le tradizioni, a chi non si comporta in maniera prevedibile in ogni circostanza, a chi sta “rubando la scena” solo perché osa vivere e rendere nota la sua esistenza.
Ma se non è colpa dell’ignoranza e della non volontà di porvi rimedio, allora, di chi è?
Se non è colpa della mancanza di incentivi a fare gruppo, a venirsi incontro a vicenda, a mettersi dalla parte dell’altra persona tentando di capirne con onestà i punti di vista, a scendere dalla propria cattedra e lasciar parlare gli altri, a smettere di guardare solo il proprio orticello per abbracciare con gioia e responsabilità lo spettro intero dell’essere umano, allora, di chi è?

In ogni persona si nasconde un mondo, e quando questa verità verrà alla luce, anche il mondo transessuale cesserà di essere sommerso, e ogni persona transessuale avrà il diritto di essere chi ha voglia di essere, forte dell’appoggio di un’intera comunità.

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