La denuncia di 4 transgender 'Rovinate a vita da una tecnica sperimentale'

Il caso di alcuni pazienti che hanno subito l'intervento al Policlinico Umberto I di Roma. "Non ci avevano detto dei rischi, il risultato è un'infibulazione". Dalla struttura si difendono: "Loro negligenza dopo l'intervento". E ora la procura indaga su 24 persone.

 Dopo gli articoli dell'Espresso, che aveva raccolto le denunce di quattro transgender, è arrivata la conferma: ventiquattro medici dell'Umberto I di Roma sono indagati per lesioni colpose aggravate, come riporta oggi la Repubblica. I legali delle trans sostengono che siano state attuate "sperimentazioni illegali come nel caso Stamina".

Una serie di interventi chirurgici dall’esito disastroso, che al posto dell'atteso cambio di sesso hanno portato infezioni e malformazioni invalidanti a quattro ragazze: la Procura di Roma ha avviato un'inchiesta su 24 medici e specializzandi del Policlinico Umberto I di Roma, dopo un esposto delle pazienti che accusa l'Ospedale di aver sperimentato su di loro nuove tecniche e farmaci senza le dovute autorizzazioni né un consenso debitamente informato.
Le ragazze, come accade in genere in questi casi, avevano già percorso tutto l'iter tipico delle persone transgender: cure ormonali, sostegno psicologico, trasformazione lenta e graduale del proprio corpo, il seno, i fianchi, la voce. Mancava solo il passo finale: ovvero la demolizione dei genitali maschili con la creazione di una vagina. Ora, secondo i protocolli tradizionali, in genere la vagina si ricostruisce rivoltando la pelle del pene (precedentemente rimosso, ma appositamente conservato) e ricoprendo con questo tessuto una cavità creata ad hoc.

Liste d'attesa eterne, scarsa specializzazione, poca attenzione alle ricadute psicologiche sui pazienti. Troppo spesso nel nostro paese chi deve cambiar sesso affronta un'odissea anche in sala operatoria. Tanto che un gruppo di pazienti ha fatto causa al Sistema sanitario nazionale


Ma all'Umberto I i medici decidono di non applicare i protocolli consueti, e preferiscono una nuova via: nell'arco di due anni, dal 2011 al 2013, eseguono una serie di operazioni che definiscono innovative. Il metodo, poi da loro stessi celebrato in una rivista scientifica statunitense, e messo sotto accusa nell'esposto, consiste in questo: il tessuto per la ricostruzione dell'organo genitale viene prelevato dalla mucosa della bocca, poi coltivato in vitro, quindi rigenerato, per essere infine innestato nella cavità vaginale.

Un sistema, questo, che era stato sperimentato qualche anno prima dalla stessa equipe dell'Umberto I, ma solo su tre casi, peraltro del tutto differenti: tre donne che per una rara sindrome, la Mayer Rokitanski Kuster Hauser, non avevano sviluppato in modo completo la vagina.

La denuncia “Il risultato è un'infibulazione”
Evidentemente lo staff del Policlinico romano avrà pensato di trasporre quell'esperienza anche nell'ambito della transizione uomo-donna, utilizzando il tessuto della mucosa della bocca, il più simile in qualche misura a quello vaginale. Ma, secondo le accuse, l'innesto avrebbe causato infezioni, la necessità di riparare con interventi successivi e, infine, la chiusura dell'organo genitale, con gravissimo danno per tutte e quattro le ragazze. "Un'infibulazione", recita l'esposto alla Procura. Peraltro, i chirurghi hanno continuato a proporre questo metodo anche quando avevano già verificato numerose complicazioni nelle prime pazienti transgender.

Così i medici sono stati portati davanti alla magistratura, in due diversi procedimenti. Uno di carattere civile, visto che il risarcimento potrà servire a nuove operazioni riparatorie. Interventi che le ragazze hanno scelto di fare all'estero, da San Francisco a Bangkok, non fidandosi più della sanità italiana. E poi c'è il penale, che ha portato la procura di Roma a indagare i 24 sanitari.

Alessandra Gracis, avvocatessa che difende le quattro pazienti, spiega che "i medici hanno indotto le ragazze a scegliere questa operazione, prospettata come innovativa, aggiungendo un allettante incentivo: e cioè che poteva essere fatta subito. Al contrario, se si fosse optato per l'intervento classico, dissero che si sarebbe dovuto attendere la normale lista di attesa, ovvero oltre 2 anni".

"Non è stato comunicato a nessuna di loro - afferma la legale - che si sarebbe eseguita una tecnica ancora sperimentale, quindi non riteniamo completo il consenso informato acquisito dalle pazienti”.

Non basta: l'avvocatessa, nei suoi esposti, contesta ai medici di non aver acquisito né l'autorizzazione del Comitato etico, né dell'Aifa (Agenzia del Farmaco), "necessarie quando si sperimentano nuovi metodi e medicine". Il tessuto innestato, infatti, "non è né più né meno che una sorta di farmaco sperimentale, visto che si tratta di cellule manipolate e ingegnerizzate, dagli sviluppi imprevedibili". Gracis ha inviato all'Aifa una denuncia con le cartelle cliniche delle sue assistite, chiedendo di essere rassicurata sulla non pericolosità del materiale iniettato, “potenzialmente dannoso o addirittura cancerogeno”.

In uno scambio di mail che la legale ha incluso nella sua documentazione, Beatrice, una delle pazienti, si lamenta con la dottoressa che aveva operato inizialmente le tre donne prive di vagina, e che aveva ispirato quindi i successivi interventi sulle persone transgender. La studiosa alla fine ammette: "Cara Beatrice, mi dispiace ancora per la sua storia di cui non conosco il finale. Tuttavia posso dirle che mentre la mia tecnica è perfetta per le ragazze con la sindrome di Mayer Rokitanski Kuster Hauser è ancora sperimentale nelle riassegnazioni del sesso".

Il Policlinico: “Ragazzenegligenti dopo le operazioni”
Dal Policlinico Umberto I per il momento i medici, i dirigenti e i legali preferiscono non rilasciare dichiarazioni: l’ufficio comunicazione del Direttore generale del nosocomio spiega che, come in altri casi analoghi, è stata avviata un’indagine interna, eseguita da una commissione creata ad hoc.

Nella memoria difensiva presentata alla magistratura dagli avvocati dell’ospedale, si legge che sui nove pazienti su cui è stata utilizzata la metodologia dell’innesto di cellule della mucosa orale in vagina (sei transgender e tre donne), in cinque si ritengono soddisfatti dei risultati (due transgender e le tre donne), mentre in altri quattro in effetti si sono riscontrate complicazioni: “In due casi questo è dovuto - recita la memoria - a un non corretto utilizzo del tutore vaginale nei tempi e nelle modalità consigliate” (si tratta di uno stent che serve a divaricare la neovagina, da portare diverse ore al giorno nei mesi successivi all’intervento, ndr). “In un altro caso, le infezioni sono da ascriversi a variabili esterne all’intervento (rapporti sessuali e scarsa igiene)”. Nell’ultimo caso, i medici si astengono dalla valutazione, “in quanto il paziente ha eseguito altra procedura chirurgica in altra sede che ne ha modificato irreversibilmente i caratteri”.

L'avvocatessa Gracis, anche lei transgender come le quattro pazienti che difende (ma ha scelto di operarsi in California), segue un'altra quindicina di casi simili in tutta Italia, pure loro in transizione da uomo a donna, presunte vittime di episodi di malasanità.

"E' il nostro sistema che è sbagliato alla radice - spiega - Si fanno pochi interventi l'anno in decine di ospedali, da Pietra Ligure a Ragusa, quindi non ci si può specializzare a fondo. Piuttosto, come accade all'estero - ad esempio a Ghent in Belgio, dove si registrano risultati di eccellenza - bisognerebbe puntare su un'unica struttura nazionale, in cui questo tipo di chirurgia diventi di routine, e dove si possa investire seriamente su ricerca, innovazione, formazione e aggiornamento. Si risparmierebbero tanti soldi pubblici, oggi forzatamente utilizzati per riparare a posteriori operazioni venute male: un danno per i singoli coinvolti ma anche per la sanità”.

“Sarebbe importante - conclude la legale - parlare di questi problemi con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, se solo volesse ricevere per un confronto me e le mie ragazze: abbiamo lanciato molti segnali e provocazioni, ma non abbiamo mai ricevuto risposta". 
 

Commenti

  1. Complimenti vivissimi a sti medici che invece di trattarci da esseri umani se ne fottono e ci trattano da cavie.... se ci finissero loro sotto i ferri la storia cambierebbe... complimenti anche alle strutture che invece di tutelare e fare gli interessi di chi si rivolge a loro per transizionare gettano pazienti nelle mani di dottorini e specializzandi vari... bravi.... a chi decide loro di fare causa gli togliesse anche le mutande!

    RispondiElimina

Posta un commento