Io dall’altra parte dello specchio

Articolo di: Massimo Tiberio B. & Selviero


Momento serietà su questo blog: via quel sacchetto di patatine, via quegli iPhone (no, non fate finta di metterli in tasca e spegnerli, tanto vi partirà la suoneria di Peppa Pig e vi sgameremo) e via quelle parolacce e quelle bestemmie in aramaico contro il T9, riprenderete a crearle e a snocciolarle tra qualche minuto.

Okay, carciofini, stiamo per imbarcarci a scrivere di un argomento così delicato, così controverso, così dibattuto e così dannatamente vero che so che sarebbe più o meno come muoversi in uno di quei negozi pieni di oggettini di cristallo e sperare di non scassarne manco uno: i pregiudizi, gli stereotipi, gli svantaggi e le castrazioni psicologiche di cui sono vittime gli uomini nel mondo in cui viviamo.

È un argomento spesso sottovalutato, nascosto, ignorato e tirato in mezzo solo quando fa comodo, ma anche in quelle occasioni raramente viene conosciuto e compreso da un pubblico di massa, e raramente si riesce ad arrivare alla radice del problema per rendere davvero migliori le cose a chi le deve patire in prima persona.

E questo porta ad altro rancore, ad altra incomprensione, ad altre vittime a cui viene tappata la bocca e, naturalmente, ad altra ingiustizia.

Tutte cose che ci fanno indignare e ci fanno pretendere giustizia, e sulle quali è necessario avere una cultura. E quando si tratta invece di averci dovuto convivere, come è successo a moltissimi ragazzi cissessuali e ragazzi FtM, l’argomento è ancora più vicino, sentito e degno di attenzione e di conoscenza.

Ecco perché abbiamo deciso di dedicare un articolo per parlare anche di cosa si prova a guardare dall’altra parte dello specchio, sia come semplici osservatori (Silvia) sia come qualcuno che oltre ad averla guardata, l’altra parte dello specchio, l’ha proprio raggiunta (Massimo).

Cosa ne penso io (Silvia):


Io non sono un uomo né biologicamente né mentalmente. Sono una donna che non ha mai fatto il percorso di transizione. Ma ho riflettuto, ho sperimentato delle discriminazioni, ho indagato sulla violenza per prevenirla e condannarla, a prescindere da quando mi toccava direttamente oppure no.

Quindi è stato inevitabile che nel corso della mia vita sperimentassi il sessismo, e che oltre ad arrabbiarmici e avvicinarmi al femminismo io abbia voluto comprenderne i meccanismi, fino a notare che il sessismo (che no, ragazzi miei, non sempre è sinonimo di maschilismo o misoginia, ma è usare due pesi e due misure per classificare uomini e donne in base a speculazioni arbitrarie sul loro naturale modo di essere e sul loro naturale posto nel mondo) condiziona, danneggia e rende insicuri gli uomini allo stesso modo in cui condiziona, danneggia e rende insicure le donne. E anche in questa indagine per me è stato fondamentale il femminismo, che, anche se chi lo conosce in maniera superficiale non lo sa, denuncia quanto il patriarcato e i suoi sottoprodotti, modelli e riferimenti assurdi facciano del male agli uomini da secoli – e non sto scherzando, siccome la prima ondata di femminismo è avvenuta nell’Ottocento, ossia due secoli fa.

Naturalmente non sto scrivendo questo articolo per imbarazzare, colpevolizzare e rimettere al posto loro le donne vittime di violenza al grido di “Visto?? Razza di ipocrite, i problemi ce li hanno anche gli uomini!”. Denunciare la sofferenza di un genere non sminuisce né rende meno reale la sofferenza dell’altro, non si tratta di scegliere “da che parte stare” perché si possono difendere le vittime da tutte e due le parti e non c’è né un gioco né una guerra, e non c’è nessuna ipocrisia nel volere un mondo più giusto per tutti gli esseri umani, a prescindere dal sesso biologico e dall’identità di genere.

La mia esperienza non sarà mai completa quanto quella di un ragazzo FtM che ha avuto l’opportunità di essere e vivere e respirare una realtà anziché osservare ed empatizzare e trovare analogie con una realtà e basta, ma non significa che non possa dare il mio contributo; e spero che, se ci sono delle persone cissessuali che mi stanno leggendo, magari si possano identificare in me e capire che certe cose toccano tutti, e che, lo ripeterò sempre, non serve far parte di un gruppo per sapere cosa siano la cultura, l’empatia, la riflessione e il diventare esseri umani più completi.

1-Chi mi conosce sa che odio lo sport, e che molte delle discriminazioni che ho vissuto nella mia vita e molta della sofferenza che ho provato a scuola, con gli adulti e con i ragazzi della mia età sono stati causati da tutto il biasimo che c’è verso gli adolescenti che fanno schifo negli sport. Sa che sono considerati pigri, viziati, non abbastanza validi da divertirsi, in cattiva salute, noiosi e altre cazzo di etichette su questa scia, e che quasi sempre incontrano più colpevolizzazione che comprensione. “Se non avessi fatto questo non te la saresti cercata”, “Se non la prendessi così male e capissi che sei meno brava di loro smetterebbero”, “Se lo vedessi come un gioco ti piacerebbe di sicuro” sono tutti tormentoni fin troppo comuni. Eppure sapete una cosa? Da un certo punto di vista so che mi è andata bene: sono una ragazza.
Se fossi stata la stessa persona, ma biologicamente maschio, so che avrei sofferto il doppio delle discriminazioni! Quante volte avete visto che lo sport fino a poco tempo fa era considerato soprattutto una prerogativa maschile (fatto sta che ad esempio nella Grecia Antica le donne non erano ammesse alle Olimpiadi come atlete e anche all’epoca di Pierre de Coubertin le atlete avevano una serie di limitazioni)? Quante volte ancora al giorno d’oggi una ragazza viene chiamata “maschiaccio” se partecipa a troppe gare? Quante volte alcune eccellenti sportive si preoccupano di non essere “abbastanza femminili” e oltre un certo livello non sollevano pesi per non modellare troppo il loro corpo in modo “sbagliato”, secondo gli standard sulla bellezza che sono stati loro inculcati? Quante volte, invece, ci si aspetta che un ragazzo sia tonico, atletico, muscoloso e scolpito nel fisico, e aggressivo, competitivo, sempre pronto a dimostrare di essere forte e conquistarsi una vittoria, nello sport come nella vita, quando si tratta della sua personalità? E non a caso, se un ragazzo è carente negli sport, è più tranquillo, meno interventista e più incline a commentare quello che succede anziché prendervi parte in prima persona è tacciato di essere una “femminuccia”, un “rammollito”, uno “sfigato”, un “debole”, ed è pungolato ad essere diverso da se stesso con molta più indignazione e cattiveria rispetto a una ragazza nella stessa situazione. Io ho sofferto di bullismo anche per questo, ma so che se fossi stata un ragazzo in questo specifico ambito mi sarebbe andata molto peggio. E anche questo è sessismo.

2-E lo sport non è l’unica area in cui l’essere docili e accudenti anziché indomabili e indipendenti, contemplare anziché agire, ascoltare anziché esprimersi è “perdonato” (o incoraggiato) nelle ragazze ma schernito e disprezzato nei ragazzi. Vogliamo parlare del fatto che se una donna vuole fare carriera in una professione per tradizione maschile (ingegneria, medicina, forze armate, astrofisica, ma anche cose un po’ più “terra terra” come l’essere tassisti o idraulici) viene presa in giro e boicottata e cercata di sminuire in maniera orrenda come persona, ma se riesce a realizzare i suoi sogni è guardata con rispetto misto a soggezione e ammirazione, mentre se un uomo vuole fare carriera in una professione per tradizione femminile (maestri delle elementari, infermieri, ballerini, attori di teatro o di musical, stilisti, make up artists, estetisti, parrucchieri, segretari) sono umiliati e trattati come spazzatura finché non rinunciano, non importa quanto potrebbero avere delle idee rivoluzionarie e quanto sia una vocazione per loro, perché “chi te lo fa fare di abbassarti a questo livello, dovresti puntare più in alto e volere più gloria”?
O del fatto che anche quando una persona ha delle passioni “gender neutral” perché affini a qualche talento artistico (nel mio caso la scrittura), siccome stiamo scomodando la sfera umanistica rispetto a quella scientifica, tenderà sempre più ad essere visto come qualcosa di femminile, e un ragazzo a cui piace esprimere se stesso ed essere creativo attraverso una forma d’arte sarà sempre un briciolo “atipico” e guardato con un pizzico di sospetto (le illazioni su una sua presunta omosessualità da parte degli omofobi sono un esempio)? In una società come la nostra ci sono degli schemi molto rigidi per quanto riguarda quello che dobbiamo perseguire, amare, sentire come nostro e fare quando siamo uomini e donne. E ci sono delle castrazioni, degli sfottò, delle ferite e delle vessazioni che io come donna non ho sperimentato e forse non sperimenterò mai.

3- In una società sessista l’emotività è vista come qualcosa da femmine, allo stesso modo di sentimenti positivi e che “avvicinano” e che tirano in mezzo la sfera affettiva (gli abbracci, le coccole, i baci, il voler condividere tutto e cercare l’approvazione delle persone care), quindi penso che sappiamo tutti cosa succede quando un maschietto si comporta così perché è nella sua indole, e la mole di disprezzo che gli viene riservata se non ha una natura da conquistatore esuberante e nei casi più estremi arrogante e un po’ egoista – sono tutte cose che possono produrre una ferita e una sensazione di rifiuto che lascia delle cicatrici anche per anni.
Sappiamo anche che quando si tratta di avere sentimenti negativi ragazze e ragazzi sono educati a esprimerli in maniera diversa. Ai ragazzi si insegna a sfogarsi verso l’esterno, verso la fonte del proprio malessere per dimostrare la propria superiorità, alle ragazze si insegna che sono sempre in torto e diventano autoaggressive, si sfogano su se stesse, piangono e si crogiolano nel loro malessere, e se proprio si vogliono sfogare sulla fonte esterna del malessere lo devono fare in una maniera più sottile, indiretta e psicologica (da qui anche tutte le illazioni sul fatto che le donne siano più maligne e contorte per una presunta natura femminile: non possono affrontare la gente a muso duro, la affrontano con un giro vizioso).
Avete idea delle conseguenze che un’educazione del genere può avere su un ragazzo quando ha paura, non si sente all’altezza, sta per avere una crisi di nervi, non si sente apprezzato né amato? Anche se sono stata sminuita e ridicolizzata davanti ai miei cedimenti ho avuto anche persone che mi hanno aiutata con sollecitudine (o arroganza, fate un po’ voi, a seconda degli individui che l’hanno fatto e di quanto pensassero che fossi incapace di badare a me stessa come donna). Se fossi stata un ragazzo sono sicura che ci sarebbero state alcune circostanze in cui sarei stata lasciata a me stessa perché “te la devi cavare da solo”. Cercare l’autorealizzazione e l’indipendenza è positivo, ma ogni tanto non ci si deve vergognare a chiedere aiuto, e troppi ragazzi sono stati condizionati a vergognarsi di chiedere aiuto, perché gli stereotipi sulla virilità pretendono che abbiamo sempre la loro vita sotto controllo, e la situazione in pugno (assieme a quella degli altri). Un ragazzo non può piangere, non può avere paura di niente, non può dubitare di se stesso, non può cercare aiuto, non può ammettere di non essere in grado di fronteggiare una situazione, non può mollare, deve battersi fino alla fine e camminare anche quando è zoppo o ferito e avere sempre l’ultima parola, sennò perde la faccia. Così sono pochissime le persone davanti a cui un ragazzo mostra il suo lato più vulnerabile, dal momento che i ragazzi tendono ad essere colpevolizzati anche da chi gli è più vicino se non corrispondono all’immagine di Superman promossa dal patriarcato. E così sono anche pochissimi i ragazzi che invece di fare a botte e incazzarsi e inveire contro qualcuno con rabbia e aggressività lo affrontano cercando un dialogo anziché una lite e spiegando di esserci rimasti molto male, di aver sofferto, di essere stati feriti. Io ho avuto l’opportunità di poter essere una mediatrice, di esprimere la mia sofferenza in modo pacifico, di ammettere una debolezza e di scoprire il fianco senza ricevere nessuna accusa di “tradire il mio sesso” o essere “una femminuccia” perché per il mio genere la vulnerabilità è vista come “appropriata”, mentre molti ragazzi non sanno cosa significhi avere questa opportunità.

4-E adesso passiamo a una cosa più pericolosa. Non mi voglio addentrare nello specifico e parlare delle mie esperienze, ma anche io come molte ragazze ho sofferto la piaga delle molestie di strada da parte di uomini. So cosa significa essere viste come un oggetto sessuale, aver paura di andare in giro per non incontrare alcuni molestatori, avere un blocco che impedisce di chiedere aiuto e avere l’idea socialmente inculcata che se ci si ribellasse sarebbe peggio perché “metti caso che se gli do un pugno e scappo inciampo e mi raggiunge e mi ammazza di botte, metti che mi dicono che ho provocato e me la sono voluta, metti che mi dicono che ho mandato segnali contraddittori, metti che in un secondo momento quello si vendica e chiama i suoi amici per farmi del male”. Ma c’è una cosa da sottolineare sulla mia esperienza: le persone che mi circondano sanno e credono che le molestie sessuali sulle donne esistono. Sanno che gli uomini possono fare del male alle donne. Sanno che le donne possono essere vittime di violenza da parte degli uomini. Sanno che le donne sono vulnerabili ad alcune aggressioni e sono educate a temere per la propria incolumità fisica. Ma ci sono ancora tantissime persone che rimangono esterrefatte quando un ragazzo denuncia una molestia, che sia una molestia di strada o una in cui aveva un rapporto più stretto con la sua carnefice. L’unica eccezione è quella in cui a molestare il ragazzo è un altro uomo, perché lì si tirano in mezzo stereotipi di matrice omofoba sui “gay pedofili e pervertiti”, o quando è un bambino piccolo ad essere molestato da una donna, perché lì si tirano in mezzo stereotipi di matrice misogina sulle “madri snaturate”.
Ma se la carnefice è una donna abbastanza vicina d’età all’uomo a cui ha fatto del male, e lui è sessualmente consapevole… ho sentito ripetere fino allo schifo che è impossibile che un uomo venga molestato, perché “gli uomini sono sempre arrapati e hanno sempre il controllo della situazione, dovrebbero solo ringraziare che lei gliel’abbia data, hanno avuto un po’ di gnocca gratis, solo gli uomini gay potrebbero avere un trauma dopo una scopata con una donna”. E quando l’uomo in questione dimostra che no, non gli è piaciuto, che è una vittima di violenza, che quello che lei gli ha fatto non è sesso, che lui è psicologicamente a pezzi tra disturbo acuto da stress, PTSD, depressione, depersonalizzazione, derealizzazione, evitamento, attacchi di panico e altre orribili conseguenze, in qualche modo per l’opinione pubblica se l’è voluta pure lui. Se una creatura inferiore come una donna è riuscita a sottometterlo, ad essere più forte, più aggressiva, più violenta, lui è addirittura più inferiore di lei, ed è anche per questo che molte vittime di violenza di genere maschile non denunciano (senza contare che, con la scarsissima informazione che abbiamo al riguardo, alcuni non sanno neppure di essere stati molestati anche se sono a pezzi, e non riescono a spiegarsi il proprio dolore), e rischiano di cadere in una spirale diversa rispetto a una donna, a provare una solitudine diversa e la sensazione che il mondo sia ingiusto con loro e che la loro sofferenza non conti in maniera diversa. Perché per alcune persone la loro sofferenza non esiste, o peggio ancora, loro non esistono. Tutte cose scritte in questo ottimo articolo di un uomo che è stato violentato e ha avuto la forza di ammetterlo, di esporsi e di pretendere giustizia.

Potrei continuare a parlare all’infinito di cosa osservo dalla mia parte dello specchio e di come io sia consapevole che esiste una violenza disumana per gli uomini anche senza essere un uomo. Vi potrei parlare di quanto nella società sessista in cui dobbiamo muoverci, agire, pensare, allacciare rapporti le vittime maschili siano imbavagliate, cancellate, ignorate, ridicolizzate, e di quanto le rarissime occasioni in cui non lo sono la violenza contro di loro venga strumentalizzata per tappare la bocca alle femministe e ai femministi che denunciano quanto il sessismo arrechi danni da tutte e due le parti, e poi ritorna del dimenticatoio perché una denuncia del genere non dà uno scossone al sessismo, ma lo rafforza e non fa fare passi avanti per estirpare questa violenza una volta per tutte. Vi potrei parlare di quanto avrei voluto prendere a schiaffi le ragazze in una delle classi in cui ha insegnato Rosalind Wiseman che dopo aver spiegato quanto si sentissero violate se i ragazzi infilavano loro le mani sotto le camicette sono scoppiate a ridere davanti alla testimonianza di un ragazzo nella squadra di atletica leggera perché non credevano che lui potesse stare male quando riceveva pacche sul culo, e di quanto avrei voluto urlare a queste ragazze “Ma la vostra empatia dov’è??”. Vi potrei parlare di quanto l’idea che le donne siano il sesso debole e “non si tocchino neanche con un fiore” fa danni non solo alle ragazze che crescono con l’idea che non possono ferire nessuno e si bloccano se sono vittime di violenza, ma anche ai ragazzi che quando sono violentati o picchiati da una donna non riescono ad alzare le mani su di lei per difendersi perché sanno che lei potrebbe denunciarli e dovrebbero affrontare anche l’umiliazione di risarcire le loro carnefici, e di quanto sia fondamentale che a tutti gli esseri umani si insegni l’autodifesa.
Vi potrei parlare di quanto (per lo meno nei nostri Paesi, nei Paesi a maggioranza musulmana è tutto il contrario) quando c’è un divorzio la custodia dei figli venga data quasi sempre alle madri penalizzando i padri, perché la convinzione sessista che le donne debbano mettere al primo posto la cura dei figli e gli uomini il prestigio derivato dal loro lavoro è un boomerang che ritorna indietro anche agli uomini che non sono violenti e sarebbero in grado di accudire dei bambini meglio di una donna. Vi potrei parlare di quanto prenderei per le spalle tutte le madri e i padri che educano bambine e bambini a vergognarsi se non corrispondono a modelli, prodotti e riferimenti assurdi e li scrollerei al grido di “Lasciateli liberi di essere se stessi finché non fanno del male agli altri”.

Ma non mi interessa darvi un unico punto di vista sull’argomento, e vorrei che sentiate anche Massimo, che sotto molti aspetti sarà sicuramente più profondo di me.

Quindi mi limito a citare Rosalind Wiseman (esperta di infanzia, genitorialità, bullismo, giustizia sociale ed etica di leadership) in “Masterminds & Wingmen” quando parla del fatto che non è sempre vero che crescere una femmina sia più difficile di crescere un maschio, allo stesso modo in cui non è vero che lei incontri sempre più incomprensione di lui nel mondo in cui viviamo:

If you have a seventh-grade daughter, you probably know that girls are often self-conscious about their bodies at this age, especially if they have larger breasts or weigh more than other girls they hang out with. When your daughter is invited at a swim party, you probably understand why she’s anxious about what she’s going to wear without having her to tell you “Mom, girls can be very mean to girls who develop early. I’m feeling very self-conscious about my breasts, so I really need some help and support, and I’m not sure if I want to go to this party.” If you’re her dad and you can’t get it right away, her mom can tell you in two seconds, and then you’ll get it.Now imagine that your son is a seventh-grader who has “moobs” (man boobs) and that he’s invited to the same swim party. Two weeks before the party, he casually asks you to get him a swim shirt, but he doesn’t say anything about needing it in time for this party. Understandably, you file away “Get him swim shirt” in the back of your mind and don’t get him swim shirt. When it’s time to live for the party, you have to yell at him four times because he won’t stop playing video games. When you finally get him into the car, you assume he’s sullen because he’s going through video game withdrawal. You drive him to the party, lecturing him about screen time and getting even more annoyed because he’s not listening to you. […]Two hours later, you pick him up from the party determined to start fresh. You enthusiastically ask if he had a good time. He says, “It was fine”. You ignore his sullen attitude. You cheerily ask him who was there. He answers, “I don’t know. Some people from school.” […] he’s miserable because the moob teaser didn’t break his arm and miss the party. Instead, that kid took a picture of your son with his shirt off and showed it to all the other guys, who laughed and called him “Boob Boy”. But you won’t know any of this. Which means that when you get home and he goes right back to the TV and chooses the most violent game he has and starts destroying his enemies in the most gruesome way possible, you’ll go right back to yelling at him that he’s addicted to those horrible video games and worry that games are turning him into a violent freak.He’s not running to play that video game for no reason. He’s running to distract him from the shame that he feels that he was ridiculed for his body, from his deeply wired belief that he can’t tell you what happened, and it feels good to shoot something that he can pretend is his tormentor.We assume boys are easy because they keep quiet, and in the process we sentence them to a lifetime of being misunderstood.

Traduzione:

Se avete una figlia dodicenne, probabilmente sapete che a quell’età le ragazze sanno essere consapevoli del proprio corpo, specie se hanno un seno grande o pesano più delle altre ragazze con cui escono. Quando vostra figlia viene invitata a una festa in piscina, probabilmente capirete perché si sente in ansia rispetto a cosa deve indossare senza che vi dica “Mamma, le ragazze possono essere davvero perfide con le ragazze che si sviluppano presto. So che ho le tette troppo grandi, e mi serve aiuto e supporto, e non sono nemmeno certa di voler andare a quella festa.” Se siete suo padre e non lo capite all’istante, sua mamma ve lo dirà in due secondi e lo capirete.Adesso immaginate che vostro figlio sia un dodicenne con le “tette da maschio” e che sia invitato alla stessa festa in piscina. Due settimane prima vi chiede casualmente di comprargli una canottiera per il nuoto, ma non dice nulla riguardo al fatto che gli serve in tempo per la festa. Comprensibilmente, archiviate il “comprare una canottiera per il nuoto” negli anfratti della mente e non gliela comprate. Quando deve andare alla festa dovete urlare con lui quattro volte perché non smette di giocare ai videogiochi. Quando finalmente lo trascinate in macchina, date per scontato che abbia il broncio perché ha dovuto interrompere il videogioco. Lo accompagnate alla festa, facendogli una lezione su quanto tempo passi davanti allo schermo e irritandovi ancora di più perché non vi ascolta. […]Due ore dopo lo andate a riprendere determinate a partire col piede giusto. Gli chiedete con entusiasmo com’è andata alla festa. Lui dice: “Tutto bene.” Voi ignorante la sua aria imbronciata. Gli chiedete tutte pimpanti chi c’era. Lui risponde: “Non so. Un po’ di ragazzi della scuola.” […] Sta malissimo perché il ragazzo che lo prendeva in giro per le tette non gli ha rotto un braccio e non ha potuto saltare la festa. Invece, quel ragazzo ha scattato una foto di vostro figlio senza la maglietta addosso e l’ha mostrata a tutti, che l’hanno deriso e chiamato “Ragazzo tettone”. Ma voi non ne saprete nulla. Il che significa che quando tornate a casa e lui si fionda alla tv e sceglie il videogioco più violento che ha e inizia a distruggere i nemici nella maniera più cruenta possibile, ritornate a urlare che è dipendente da quegli orribili videogiochi e siete atterrite all’idea che lo stiano trasformando in un mostro violento.Non è corso a giocarci senza motivo. Lo fa per distrarsi dalla vergogna che prova per essere stato messo in ridicolo per il suo corpo, per la sua convinzione profonda e radicata che non possa dirvi nulla di quello che è successo, e lo fa stare meglio sparare a qualcosa che può fingere che sia il suo bullo.Diamo per scontato che i ragazzi siano più semplici perché tengono i loro problemi per sé, e nel farlo li condanniamo a una vita di incomprensioni.

Come ne penso io (Massimo):


Molte volte sentiamo parlare di come la società (quella Italiana tra le prime) è fortemente maschilista, purtroppo non ci siamo mossi moltissimo da quello che era il medioevo in fatti di “parità dei sessi” ancora adesso ci portiamo dietro da generazioni concetti vecchi di decenni (in alcuni casi secoli) per fare un esempio: “Le donne non si toccano neanche con un fiore”il sesso debole” ecc..ecc...

(sul discorso parità dei sessi ne avrei da scrivere... ma non mi pare il caso, e non vorrei stuzzicare la mia ragazza che è femminista)

Si pensa che la vita del “Maschio” sia decisamente “migliore” (ma quanto me piacciono ste virgolette), non sapendo della grande Pressione (psicologica) che pesa sul uomo, di quello che la società si aspetta da lui.

L'uomo non deve piangere
L'uomo deve lavorare per portare la pagnotta a casa
L'uomo deve andare in guerra per proteggere la patria
L'uomo deve saper essere al altezza di ogni situazione (ecc..ecc..)

Con la Transizione ho capito BENISSIMO questa sottile differenza.

I primi mesi di terapia ormonale (come succede a molti) cè un incremento del desiderio sessuale, il fatto che io pensassi a farmi qualsiasi forma vivente mi trovassi a tiro è data appunto dalla carica “Ormonale” che avevo in corpo, quando me ne accorsi pensai “quando dicono che i maschi hanno in testa solo il sesso..” cavolo se è vero, ma non è perchè sono dei maniaci solamente che gli ormoni fanno anche la loro parte.
Sicuramente una ragazza mi avrebbe detto “e che cavolo ma pensi solo a quello” oppure “voi maschi tutti uguali”.
Per farla breve MOLTI degli aspetti del maschio vengono dati dagli ormoni (anche per la donna vale lo stesso) e noi persone Trans ne sappiamo qualcosa e abbiamo la fortuna/sfortuna di (appunto) guardare dal altra parte dello specchio e vedere effettivamente che Uomo e Donna Biologicamente sono diversi per via del effetto degli ormoni che hanno.

Se vi interessa approfondire vi lascio qualche link interessante:






Commenti

  1. Sono d'accordo con a linea generale dell'articolo, cioè che il sessismo è discriminazione sessuale da entrambe le parti.
    La maggior parte, se non tutte, le campagne di sensibilizzazione su quest'argomento, sono concentrate sulla discriminazione femminile. E' bello quindi vedere che c'è qualcuno che porta l'attenzione anche su quella maschile!
    Del resto con l'emancipazione i confini di genere femminili sono diventati più sfumati rispetto a quelli maschili che rimangono tutt'ora più rigidi.

    Mi è piaciuto anche il pezzo su Wiseman. Una cosa soltanto, Silvia, a volte sei un po' prolissa :-\

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  2. E dire che ero convinta che non avessi scritto abbastanza :p Beh, ti ringrazio dei complimenti e se avrai voglia di indicarmi dove secondo te un articolo del genere avrebbe potuto essere tagliato, per quelli futuri, procedi pure.
    Sono d'accordo quando dici che grazie all'emancipazione femminile arrecata dal femminismo i confini di genere femminili sono diventati un po' più sfumati rispetto a quelli maschili... per lo meno, sono d'accordo se intendevi che c'è molta più informazione rispetto al passato del sessismo verso le donne, delle loro lotte, del loro dolore e delle loro discriminazioni quotidiane e in senso più ampio. Se ne parla, se ne scrive, ci sono dibattiti, c'è più consapevolezza. Nonostante il sessismo sia ancora molto radicato nella nostra società, più se ne discute e più si può estirpare. Per gli uomini che si discostano dallo stereotipo del macho non esiste un movimento analogo che si sollevi contro il sessismo allo stesso modo in cui il femminismo si è sollevato per le donne, così quel poco di informazione che abbiamo viene sempre dall'interno del femminismo stesso. E servirebbe più di quanto si immagina nella strada verso la libertà a prescindere dal sesso biologico e dall'identità di genere. - Silvia -

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