Articolo di: Massimo Tiberio B. & Selviero
Momento serietà su questo blog: via
quel sacchetto di patatine, via quegli iPhone (no, non fate finta di
metterli in tasca e spegnerli, tanto vi partirà la suoneria di Peppa
Pig e vi sgameremo) e via quelle parolacce e quelle bestemmie in
aramaico contro il T9, riprenderete a crearle e a snocciolarle tra
qualche minuto.
Okay, carciofini, stiamo per imbarcarci
a scrivere di un argomento così delicato, così controverso, così
dibattuto e così dannatamente vero che so che sarebbe più o meno
come muoversi in uno di quei negozi pieni di oggettini di cristallo e
sperare di non scassarne manco uno: i pregiudizi, gli stereotipi, gli
svantaggi e le castrazioni psicologiche di cui sono vittime gli
uomini nel mondo in cui viviamo.
È un argomento spesso sottovalutato,
nascosto, ignorato e tirato in mezzo solo quando fa comodo, ma anche
in quelle occasioni raramente viene conosciuto e compreso da un
pubblico di massa, e raramente si riesce ad arrivare alla radice del
problema per rendere davvero migliori le cose a chi le deve patire in
prima persona.
E questo porta ad altro rancore, ad
altra incomprensione, ad altre vittime a cui viene tappata la bocca
e, naturalmente, ad altra ingiustizia.
Tutte cose che ci fanno indignare e ci
fanno pretendere giustizia, e sulle quali è necessario avere una
cultura. E quando si tratta invece di averci dovuto convivere, come è
successo a moltissimi ragazzi cissessuali e ragazzi FtM, l’argomento
è ancora più vicino, sentito e degno di attenzione e di conoscenza.
Ecco perché abbiamo deciso di dedicare
un articolo per parlare anche di cosa si prova a guardare dall’altra
parte dello specchio, sia come semplici osservatori (Silvia) sia come
qualcuno che oltre ad averla guardata, l’altra parte dello
specchio, l’ha proprio raggiunta (Massimo).
Cosa ne penso io (Silvia):
Io non sono un uomo né biologicamente
né mentalmente. Sono una donna che non ha mai fatto il percorso di
transizione. Ma ho riflettuto, ho sperimentato delle discriminazioni,
ho indagato sulla violenza per prevenirla e condannarla, a
prescindere da quando mi toccava direttamente oppure no.
Quindi è stato inevitabile che nel
corso della mia vita sperimentassi il sessismo, e che oltre ad
arrabbiarmici e avvicinarmi al femminismo io abbia voluto
comprenderne i meccanismi, fino a notare che il sessismo (che no,
ragazzi miei, non sempre è sinonimo di maschilismo o misoginia, ma è
usare due pesi e due misure per classificare uomini e donne in base a
speculazioni arbitrarie sul loro naturale modo di essere e sul loro
naturale posto nel mondo) condiziona, danneggia e rende insicuri gli
uomini allo stesso modo in cui condiziona, danneggia e rende insicure
le donne. E anche in questa indagine per me è stato fondamentale il
femminismo, che, anche se chi lo conosce in maniera superficiale non
lo sa, denuncia quanto il patriarcato e i suoi sottoprodotti, modelli
e riferimenti assurdi facciano del male agli uomini da secoli
– e non sto scherzando, siccome la prima ondata di femminismo è
avvenuta nell’Ottocento, ossia due secoli fa.
Naturalmente non sto scrivendo questo
articolo per imbarazzare, colpevolizzare e rimettere al posto loro le
donne vittime di violenza al grido di “Visto?? Razza di
ipocrite, i problemi ce li hanno anche gli uomini!”. Denunciare
la sofferenza di un genere non sminuisce né rende meno reale la
sofferenza dell’altro, non si tratta di scegliere “da che parte
stare” perché si possono difendere le vittime da tutte e due le
parti e non c’è né un gioco né una guerra, e non c’è nessuna
ipocrisia nel volere un mondo più giusto per tutti gli esseri umani,
a prescindere dal sesso biologico e dall’identità di genere.
La mia esperienza non sarà mai
completa quanto quella di un ragazzo FtM che ha avuto l’opportunità
di essere e vivere e respirare una realtà anziché osservare
ed empatizzare e trovare analogie con una realtà e basta, ma non
significa che non possa dare il mio contributo; e spero che, se ci
sono delle persone cissessuali che mi stanno leggendo, magari si
possano identificare in me e capire che certe cose toccano tutti, e
che, lo ripeterò sempre, non serve far parte di un gruppo per sapere
cosa siano la cultura, l’empatia, la riflessione e il diventare
esseri umani più completi.
1-Chi mi conosce sa che odio lo sport,
e che molte delle discriminazioni che ho vissuto nella mia vita e
molta della sofferenza che ho provato a scuola, con gli adulti e con
i ragazzi della mia età sono stati causati da tutto il biasimo che
c’è verso gli adolescenti che fanno schifo negli sport. Sa che
sono considerati pigri, viziati, non abbastanza validi da divertirsi,
in cattiva salute, noiosi e altre cazzo di etichette su questa scia,
e che quasi sempre incontrano più colpevolizzazione che
comprensione. “Se non avessi fatto questo non te la saresti
cercata”, “Se non la prendessi così male e capissi che sei meno
brava di loro smetterebbero”, “Se lo vedessi come un gioco ti
piacerebbe di sicuro” sono tutti tormentoni fin troppo comuni.
Eppure sapete una cosa? Da un certo punto di vista so che mi è
andata bene: sono una ragazza.
Se fossi stata la stessa persona, ma biologicamente maschio, so che avrei sofferto il doppio delle discriminazioni! Quante volte avete visto che lo sport fino a poco tempo fa era considerato soprattutto una prerogativa maschile (fatto sta che ad esempio nella Grecia Antica le donne non erano ammesse alle Olimpiadi come atlete e anche all’epoca di Pierre de Coubertin le atlete avevano una serie di limitazioni)? Quante volte ancora al giorno d’oggi una ragazza viene chiamata “maschiaccio” se partecipa a troppe gare? Quante volte alcune eccellenti sportive si preoccupano di non essere “abbastanza femminili” e oltre un certo livello non sollevano pesi per non modellare troppo il loro corpo in modo “sbagliato”, secondo gli standard sulla bellezza che sono stati loro inculcati? Quante volte, invece, ci si aspetta che un ragazzo sia tonico, atletico, muscoloso e scolpito nel fisico, e aggressivo, competitivo, sempre pronto a dimostrare di essere forte e conquistarsi una vittoria, nello sport come nella vita, quando si tratta della sua personalità? E non a caso, se un ragazzo è carente negli sport, è più tranquillo, meno interventista e più incline a commentare quello che succede anziché prendervi parte in prima persona è tacciato di essere una “femminuccia”, un “rammollito”, uno “sfigato”, un “debole”, ed è pungolato ad essere diverso da se stesso con molta più indignazione e cattiveria rispetto a una ragazza nella stessa situazione. Io ho sofferto di bullismo anche per questo, ma so che se fossi stata un ragazzo in questo specifico ambito mi sarebbe andata molto peggio. E anche questo è sessismo.
Se fossi stata la stessa persona, ma biologicamente maschio, so che avrei sofferto il doppio delle discriminazioni! Quante volte avete visto che lo sport fino a poco tempo fa era considerato soprattutto una prerogativa maschile (fatto sta che ad esempio nella Grecia Antica le donne non erano ammesse alle Olimpiadi come atlete e anche all’epoca di Pierre de Coubertin le atlete avevano una serie di limitazioni)? Quante volte ancora al giorno d’oggi una ragazza viene chiamata “maschiaccio” se partecipa a troppe gare? Quante volte alcune eccellenti sportive si preoccupano di non essere “abbastanza femminili” e oltre un certo livello non sollevano pesi per non modellare troppo il loro corpo in modo “sbagliato”, secondo gli standard sulla bellezza che sono stati loro inculcati? Quante volte, invece, ci si aspetta che un ragazzo sia tonico, atletico, muscoloso e scolpito nel fisico, e aggressivo, competitivo, sempre pronto a dimostrare di essere forte e conquistarsi una vittoria, nello sport come nella vita, quando si tratta della sua personalità? E non a caso, se un ragazzo è carente negli sport, è più tranquillo, meno interventista e più incline a commentare quello che succede anziché prendervi parte in prima persona è tacciato di essere una “femminuccia”, un “rammollito”, uno “sfigato”, un “debole”, ed è pungolato ad essere diverso da se stesso con molta più indignazione e cattiveria rispetto a una ragazza nella stessa situazione. Io ho sofferto di bullismo anche per questo, ma so che se fossi stata un ragazzo in questo specifico ambito mi sarebbe andata molto peggio. E anche questo è sessismo.
2-E lo sport non è l’unica area in
cui l’essere docili e accudenti anziché indomabili e indipendenti,
contemplare anziché agire, ascoltare anziché esprimersi è
“perdonato” (o incoraggiato) nelle ragazze ma schernito e
disprezzato nei ragazzi. Vogliamo parlare del fatto che se una donna
vuole fare carriera in una professione per tradizione maschile
(ingegneria, medicina, forze armate, astrofisica, ma anche cose un
po’ più “terra terra” come l’essere tassisti o idraulici)
viene presa in giro e boicottata e cercata di sminuire in maniera
orrenda come persona, ma se riesce a realizzare i suoi sogni è
guardata con rispetto misto a soggezione e ammirazione, mentre se un
uomo vuole fare carriera in una professione per tradizione femminile
(maestri delle elementari, infermieri, ballerini, attori di teatro o
di musical, stilisti, make up artists, estetisti, parrucchieri,
segretari) sono umiliati e trattati come spazzatura finché non
rinunciano, non importa quanto potrebbero avere delle idee
rivoluzionarie e quanto sia una vocazione per loro, perché “chi te
lo fa fare di abbassarti a questo livello, dovresti puntare più in
alto e volere più gloria”?
O del fatto che anche quando una persona ha delle passioni “gender neutral” perché affini a qualche talento artistico (nel mio caso la scrittura), siccome stiamo scomodando la sfera umanistica rispetto a quella scientifica, tenderà sempre più ad essere visto come qualcosa di femminile, e un ragazzo a cui piace esprimere se stesso ed essere creativo attraverso una forma d’arte sarà sempre un briciolo “atipico” e guardato con un pizzico di sospetto (le illazioni su una sua presunta omosessualità da parte degli omofobi sono un esempio)? In una società come la nostra ci sono degli schemi molto rigidi per quanto riguarda quello che dobbiamo perseguire, amare, sentire come nostro e fare quando siamo uomini e donne. E ci sono delle castrazioni, degli sfottò, delle ferite e delle vessazioni che io come donna non ho sperimentato e forse non sperimenterò mai.
O del fatto che anche quando una persona ha delle passioni “gender neutral” perché affini a qualche talento artistico (nel mio caso la scrittura), siccome stiamo scomodando la sfera umanistica rispetto a quella scientifica, tenderà sempre più ad essere visto come qualcosa di femminile, e un ragazzo a cui piace esprimere se stesso ed essere creativo attraverso una forma d’arte sarà sempre un briciolo “atipico” e guardato con un pizzico di sospetto (le illazioni su una sua presunta omosessualità da parte degli omofobi sono un esempio)? In una società come la nostra ci sono degli schemi molto rigidi per quanto riguarda quello che dobbiamo perseguire, amare, sentire come nostro e fare quando siamo uomini e donne. E ci sono delle castrazioni, degli sfottò, delle ferite e delle vessazioni che io come donna non ho sperimentato e forse non sperimenterò mai.
3- In una società sessista l’emotività
è vista come qualcosa da femmine, allo stesso modo di sentimenti
positivi e che “avvicinano” e che tirano in mezzo la sfera
affettiva (gli abbracci, le coccole, i baci, il voler condividere
tutto e cercare l’approvazione delle persone care), quindi penso
che sappiamo tutti cosa succede quando un maschietto si comporta così
perché è nella sua indole, e la mole di disprezzo che gli viene
riservata se non ha una natura da conquistatore esuberante e nei casi
più estremi arrogante e un po’ egoista – sono tutte cose che
possono produrre una ferita e una sensazione di rifiuto che lascia
delle cicatrici anche per anni.
Sappiamo anche che quando si tratta di avere sentimenti negativi ragazze e ragazzi sono educati a esprimerli in maniera diversa. Ai ragazzi si insegna a sfogarsi verso l’esterno, verso la fonte del proprio malessere per dimostrare la propria superiorità, alle ragazze si insegna che sono sempre in torto e diventano autoaggressive, si sfogano su se stesse, piangono e si crogiolano nel loro malessere, e se proprio si vogliono sfogare sulla fonte esterna del malessere lo devono fare in una maniera più sottile, indiretta e psicologica (da qui anche tutte le illazioni sul fatto che le donne siano più maligne e contorte per una presunta natura femminile: non possono affrontare la gente a muso duro, la affrontano con un giro vizioso).
Avete idea delle conseguenze che un’educazione del genere può avere su un ragazzo quando ha paura, non si sente all’altezza, sta per avere una crisi di nervi, non si sente apprezzato né amato? Anche se sono stata sminuita e ridicolizzata davanti ai miei cedimenti ho avuto anche persone che mi hanno aiutata con sollecitudine (o arroganza, fate un po’ voi, a seconda degli individui che l’hanno fatto e di quanto pensassero che fossi incapace di badare a me stessa come donna). Se fossi stata un ragazzo sono sicura che ci sarebbero state alcune circostanze in cui sarei stata lasciata a me stessa perché “te la devi cavare da solo”. Cercare l’autorealizzazione e l’indipendenza è positivo, ma ogni tanto non ci si deve vergognare a chiedere aiuto, e troppi ragazzi sono stati condizionati a vergognarsi di chiedere aiuto, perché gli stereotipi sulla virilità pretendono che abbiamo sempre la loro vita sotto controllo, e la situazione in pugno (assieme a quella degli altri). Un ragazzo non può piangere, non può avere paura di niente, non può dubitare di se stesso, non può cercare aiuto, non può ammettere di non essere in grado di fronteggiare una situazione, non può mollare, deve battersi fino alla fine e camminare anche quando è zoppo o ferito e avere sempre l’ultima parola, sennò perde la faccia. Così sono pochissime le persone davanti a cui un ragazzo mostra il suo lato più vulnerabile, dal momento che i ragazzi tendono ad essere colpevolizzati anche da chi gli è più vicino se non corrispondono all’immagine di Superman promossa dal patriarcato. E così sono anche pochissimi i ragazzi che invece di fare a botte e incazzarsi e inveire contro qualcuno con rabbia e aggressività lo affrontano cercando un dialogo anziché una lite e spiegando di esserci rimasti molto male, di aver sofferto, di essere stati feriti. Io ho avuto l’opportunità di poter essere una mediatrice, di esprimere la mia sofferenza in modo pacifico, di ammettere una debolezza e di scoprire il fianco senza ricevere nessuna accusa di “tradire il mio sesso” o essere “una femminuccia” perché per il mio genere la vulnerabilità è vista come “appropriata”, mentre molti ragazzi non sanno cosa significhi avere questa opportunità.
Sappiamo anche che quando si tratta di avere sentimenti negativi ragazze e ragazzi sono educati a esprimerli in maniera diversa. Ai ragazzi si insegna a sfogarsi verso l’esterno, verso la fonte del proprio malessere per dimostrare la propria superiorità, alle ragazze si insegna che sono sempre in torto e diventano autoaggressive, si sfogano su se stesse, piangono e si crogiolano nel loro malessere, e se proprio si vogliono sfogare sulla fonte esterna del malessere lo devono fare in una maniera più sottile, indiretta e psicologica (da qui anche tutte le illazioni sul fatto che le donne siano più maligne e contorte per una presunta natura femminile: non possono affrontare la gente a muso duro, la affrontano con un giro vizioso).
Avete idea delle conseguenze che un’educazione del genere può avere su un ragazzo quando ha paura, non si sente all’altezza, sta per avere una crisi di nervi, non si sente apprezzato né amato? Anche se sono stata sminuita e ridicolizzata davanti ai miei cedimenti ho avuto anche persone che mi hanno aiutata con sollecitudine (o arroganza, fate un po’ voi, a seconda degli individui che l’hanno fatto e di quanto pensassero che fossi incapace di badare a me stessa come donna). Se fossi stata un ragazzo sono sicura che ci sarebbero state alcune circostanze in cui sarei stata lasciata a me stessa perché “te la devi cavare da solo”. Cercare l’autorealizzazione e l’indipendenza è positivo, ma ogni tanto non ci si deve vergognare a chiedere aiuto, e troppi ragazzi sono stati condizionati a vergognarsi di chiedere aiuto, perché gli stereotipi sulla virilità pretendono che abbiamo sempre la loro vita sotto controllo, e la situazione in pugno (assieme a quella degli altri). Un ragazzo non può piangere, non può avere paura di niente, non può dubitare di se stesso, non può cercare aiuto, non può ammettere di non essere in grado di fronteggiare una situazione, non può mollare, deve battersi fino alla fine e camminare anche quando è zoppo o ferito e avere sempre l’ultima parola, sennò perde la faccia. Così sono pochissime le persone davanti a cui un ragazzo mostra il suo lato più vulnerabile, dal momento che i ragazzi tendono ad essere colpevolizzati anche da chi gli è più vicino se non corrispondono all’immagine di Superman promossa dal patriarcato. E così sono anche pochissimi i ragazzi che invece di fare a botte e incazzarsi e inveire contro qualcuno con rabbia e aggressività lo affrontano cercando un dialogo anziché una lite e spiegando di esserci rimasti molto male, di aver sofferto, di essere stati feriti. Io ho avuto l’opportunità di poter essere una mediatrice, di esprimere la mia sofferenza in modo pacifico, di ammettere una debolezza e di scoprire il fianco senza ricevere nessuna accusa di “tradire il mio sesso” o essere “una femminuccia” perché per il mio genere la vulnerabilità è vista come “appropriata”, mentre molti ragazzi non sanno cosa significhi avere questa opportunità.
4-E adesso passiamo a una cosa più
pericolosa. Non mi voglio addentrare nello specifico e parlare delle
mie esperienze, ma anche io come molte ragazze ho sofferto la piaga
delle molestie di strada da parte di uomini. So cosa significa essere
viste come un oggetto sessuale, aver paura di andare in giro per non
incontrare alcuni molestatori, avere un blocco che impedisce di
chiedere aiuto e avere l’idea socialmente inculcata che se ci si
ribellasse sarebbe peggio perché “metti caso che se gli do un
pugno e scappo inciampo e mi raggiunge e mi ammazza di botte, metti
che mi dicono che ho provocato e me la sono voluta, metti che mi
dicono che ho mandato segnali contraddittori, metti che in un secondo
momento quello si vendica e chiama i suoi amici per farmi del male”.
Ma c’è una cosa da sottolineare sulla mia esperienza: le
persone che mi circondano sanno e credono che le molestie sessuali
sulle donne esistono. Sanno che gli uomini possono fare del male
alle donne. Sanno che le donne possono essere vittime di violenza da
parte degli uomini. Sanno che le donne sono vulnerabili ad alcune
aggressioni e sono educate a temere per la propria incolumità
fisica. Ma ci sono ancora tantissime persone che rimangono
esterrefatte quando un ragazzo denuncia una molestia, che sia
una molestia di strada o una in cui aveva un rapporto più stretto
con la sua carnefice. L’unica eccezione è quella in cui a
molestare il ragazzo è un altro uomo, perché lì si tirano in mezzo
stereotipi di matrice omofoba sui “gay pedofili e pervertiti”, o
quando è un bambino piccolo ad essere molestato da una donna, perché
lì si tirano in mezzo stereotipi di matrice misogina sulle “madri
snaturate”.
Ma se la carnefice è una donna
abbastanza vicina d’età all’uomo a cui ha fatto del male, e lui
è sessualmente consapevole… ho sentito ripetere fino allo schifo
che è impossibile che un uomo venga molestato, perché “gli
uomini sono sempre arrapati e hanno sempre il controllo della
situazione, dovrebbero solo ringraziare che lei gliel’abbia data,
hanno avuto un po’ di gnocca gratis, solo gli uomini gay potrebbero
avere un trauma dopo una scopata con una donna”. E quando
l’uomo in questione dimostra che no, non gli è piaciuto,
che è una vittima di violenza, che quello che lei gli ha fatto non è
sesso, che lui è psicologicamente a pezzi tra disturbo
acuto da stress, PTSD,
depressione,
depersonalizzazione,
derealizzazione,
evitamento,
attacchi di panico e altre orribili conseguenze, in qualche modo
per l’opinione pubblica se l’è voluta pure lui. Se una
creatura inferiore come una donna è riuscita a sottometterlo, ad
essere più forte, più aggressiva, più violenta, lui è addirittura
più inferiore di lei, ed è anche per questo che molte vittime di
violenza di genere maschile non denunciano (senza contare che, con la
scarsissima informazione che abbiamo al riguardo, alcuni non sanno
neppure di essere stati molestati anche se sono a pezzi, e non
riescono a spiegarsi il proprio dolore), e rischiano di cadere in una
spirale diversa rispetto a una donna, a provare una solitudine
diversa e la sensazione che il mondo sia ingiusto con loro e che la
loro sofferenza non conti in maniera diversa. Perché per alcune
persone la loro sofferenza non esiste, o peggio ancora, loro non
esistono. Tutte
cose scritte in questo ottimo articolo di un uomo che è stato
violentato e ha avuto la forza di ammetterlo, di esporsi e di
pretendere giustizia.
Potrei continuare a parlare
all’infinito di cosa osservo dalla mia parte dello specchio e di
come io sia consapevole che esiste una violenza disumana per gli
uomini anche senza essere un uomo. Vi potrei parlare di quanto nella
società sessista in cui dobbiamo muoverci, agire, pensare,
allacciare rapporti le vittime maschili siano imbavagliate,
cancellate, ignorate, ridicolizzate, e di quanto le rarissime
occasioni in cui non lo sono la violenza contro di loro venga
strumentalizzata per tappare la bocca alle femministe e ai
femministi che denunciano quanto il sessismo arrechi danni da tutte e
due le parti, e poi ritorna del dimenticatoio perché una
denuncia del genere non dà uno scossone al sessismo, ma lo rafforza
e non fa fare passi avanti per estirpare questa violenza una volta
per tutte. Vi potrei parlare di quanto avrei voluto prendere a
schiaffi le ragazze in una delle classi in cui ha insegnato Rosalind
Wiseman che dopo aver spiegato quanto si sentissero violate se i
ragazzi infilavano loro le mani sotto le camicette sono scoppiate a
ridere davanti alla testimonianza di un ragazzo nella squadra di
atletica leggera perché non credevano che lui potesse stare male
quando riceveva pacche sul culo, e di quanto avrei voluto urlare a
queste ragazze “Ma la vostra empatia dov’è??”. Vi
potrei parlare di quanto l’idea che le donne siano il sesso debole
e “non si tocchino neanche con un fiore” fa danni non solo
alle ragazze che crescono con l’idea che non possono ferire nessuno
e si bloccano se sono vittime di violenza, ma anche ai ragazzi che
quando sono violentati o picchiati da una donna non riescono ad
alzare le mani su di lei per difendersi perché sanno che lei
potrebbe denunciarli e dovrebbero affrontare anche l’umiliazione di
risarcire le loro carnefici, e di quanto sia fondamentale che a tutti
gli esseri umani si insegni l’autodifesa.
Vi potrei parlare di quanto (per lo
meno nei nostri Paesi, nei Paesi a maggioranza musulmana è tutto il
contrario) quando c’è un divorzio la custodia dei figli venga data
quasi sempre alle madri penalizzando i padri, perché la convinzione
sessista che le donne debbano mettere al primo posto la cura dei
figli e gli uomini il prestigio derivato dal loro lavoro è un
boomerang che ritorna indietro anche agli uomini che non sono
violenti e sarebbero in grado di accudire dei bambini meglio di una
donna. Vi potrei parlare di quanto prenderei per le spalle tutte le
madri e i padri che educano bambine e bambini a vergognarsi se non
corrispondono a modelli, prodotti e riferimenti assurdi e li
scrollerei al grido di “Lasciateli liberi di essere se
stessi finché non fanno del male agli altri”.
Ma non mi interessa darvi un unico
punto di vista sull’argomento, e vorrei che sentiate anche Massimo,
che sotto molti aspetti sarà sicuramente più profondo di me.
Quindi mi limito a citare Rosalind
Wiseman (esperta di infanzia, genitorialità, bullismo, giustizia
sociale ed etica di leadership) in “Masterminds
& Wingmen” quando parla del fatto
che non è sempre vero che crescere una femmina sia più difficile di
crescere un maschio, allo stesso modo in cui non è vero che lei
incontri sempre più incomprensione di lui nel mondo in cui viviamo:
If you have a seventh-grade daughter, you probably know that girls are often self-conscious about their bodies at this age, especially if they have larger breasts or weigh more than other girls they hang out with. When your daughter is invited at a swim party, you probably understand why she’s anxious about what she’s going to wear without having her to tell you “Mom, girls can be very mean to girls who develop early. I’m feeling very self-conscious about my breasts, so I really need some help and support, and I’m not sure if I want to go to this party.” If you’re her dad and you can’t get it right away, her mom can tell you in two seconds, and then you’ll get it.Now imagine that your son is a seventh-grader who has “moobs” (man boobs) and that he’s invited to the same swim party. Two weeks before the party, he casually asks you to get him a swim shirt, but he doesn’t say anything about needing it in time for this party. Understandably, you file away “Get him swim shirt” in the back of your mind and don’t get him swim shirt. When it’s time to live for the party, you have to yell at him four times because he won’t stop playing video games. When you finally get him into the car, you assume he’s sullen because he’s going through video game withdrawal. You drive him to the party, lecturing him about screen time and getting even more annoyed because he’s not listening to you. […]Two hours later, you pick him up from the party determined to start fresh. You enthusiastically ask if he had a good time. He says, “It was fine”. You ignore his sullen attitude. You cheerily ask him who was there. He answers, “I don’t know. Some people from school.” […] he’s miserable because the moob teaser didn’t break his arm and miss the party. Instead, that kid took a picture of your son with his shirt off and showed it to all the other guys, who laughed and called him “Boob Boy”. But you won’t know any of this. Which means that when you get home and he goes right back to the TV and chooses the most violent game he has and starts destroying his enemies in the most gruesome way possible, you’ll go right back to yelling at him that he’s addicted to those horrible video games and worry that games are turning him into a violent freak.He’s not running to play that video game for no reason. He’s running to distract him from the shame that he feels that he was ridiculed for his body, from his deeply wired belief that he can’t tell you what happened, and it feels good to shoot something that he can pretend is his tormentor.We assume boys are easy because they keep quiet, and in the process we sentence them to a lifetime of being misunderstood.
Traduzione:
Se avete una figlia dodicenne, probabilmente sapete che a quell’età le ragazze sanno essere consapevoli del proprio corpo, specie se hanno un seno grande o pesano più delle altre ragazze con cui escono. Quando vostra figlia viene invitata a una festa in piscina, probabilmente capirete perché si sente in ansia rispetto a cosa deve indossare senza che vi dica “Mamma, le ragazze possono essere davvero perfide con le ragazze che si sviluppano presto. So che ho le tette troppo grandi, e mi serve aiuto e supporto, e non sono nemmeno certa di voler andare a quella festa.” Se siete suo padre e non lo capite all’istante, sua mamma ve lo dirà in due secondi e lo capirete.Adesso immaginate che vostro figlio sia un dodicenne con le “tette da maschio” e che sia invitato alla stessa festa in piscina. Due settimane prima vi chiede casualmente di comprargli una canottiera per il nuoto, ma non dice nulla riguardo al fatto che gli serve in tempo per la festa. Comprensibilmente, archiviate il “comprare una canottiera per il nuoto” negli anfratti della mente e non gliela comprate. Quando deve andare alla festa dovete urlare con lui quattro volte perché non smette di giocare ai videogiochi. Quando finalmente lo trascinate in macchina, date per scontato che abbia il broncio perché ha dovuto interrompere il videogioco. Lo accompagnate alla festa, facendogli una lezione su quanto tempo passi davanti allo schermo e irritandovi ancora di più perché non vi ascolta. […]Due ore dopo lo andate a riprendere determinate a partire col piede giusto. Gli chiedete con entusiasmo com’è andata alla festa. Lui dice: “Tutto bene.” Voi ignorante la sua aria imbronciata. Gli chiedete tutte pimpanti chi c’era. Lui risponde: “Non so. Un po’ di ragazzi della scuola.” […] Sta malissimo perché il ragazzo che lo prendeva in giro per le tette non gli ha rotto un braccio e non ha potuto saltare la festa. Invece, quel ragazzo ha scattato una foto di vostro figlio senza la maglietta addosso e l’ha mostrata a tutti, che l’hanno deriso e chiamato “Ragazzo tettone”. Ma voi non ne saprete nulla. Il che significa che quando tornate a casa e lui si fionda alla tv e sceglie il videogioco più violento che ha e inizia a distruggere i nemici nella maniera più cruenta possibile, ritornate a urlare che è dipendente da quegli orribili videogiochi e siete atterrite all’idea che lo stiano trasformando in un mostro violento.Non è corso a giocarci senza motivo. Lo fa per distrarsi dalla vergogna che prova per essere stato messo in ridicolo per il suo corpo, per la sua convinzione profonda e radicata che non possa dirvi nulla di quello che è successo, e lo fa stare meglio sparare a qualcosa che può fingere che sia il suo bullo.Diamo per scontato che i ragazzi siano più semplici perché tengono i loro problemi per sé, e nel farlo li condanniamo a una vita di incomprensioni.
Come ne penso io (Massimo):
Molte volte sentiamo parlare di come la
società (quella Italiana tra le prime) è fortemente maschilista,
purtroppo non ci siamo mossi moltissimo da quello che era il
medioevo in fatti di “parità dei sessi” ancora adesso ci
portiamo dietro da generazioni concetti vecchi di decenni (in alcuni
casi secoli) per fare un esempio: “Le donne non si toccano
neanche con un fiore” “il sesso debole” ecc..ecc...
(sul discorso parità dei sessi ne
avrei da scrivere... ma non mi pare il caso, e non vorrei stuzzicare
la mia ragazza che è femminista)
Si pensa che la vita del “Maschio”
sia decisamente “migliore” (ma quanto me piacciono ste
virgolette), non sapendo della grande Pressione (psicologica) che
pesa sul uomo, di quello che la società si aspetta da lui.
L'uomo non deve piangere
L'uomo deve lavorare per portare la
pagnotta a casa
L'uomo deve andare in guerra per
proteggere la patria
L'uomo deve saper essere al altezza di
ogni situazione (ecc..ecc..)
Con la Transizione ho capito BENISSIMO
questa sottile differenza.
I primi mesi di terapia ormonale (come
succede a molti) cè un incremento del desiderio sessuale, il fatto
che io pensassi a farmi qualsiasi forma vivente mi trovassi a tiro è
data appunto dalla carica “Ormonale” che avevo in corpo, quando
me ne accorsi pensai “quando dicono che i maschi hanno in testa
solo il sesso..” cavolo se è vero, ma non è perchè sono dei
maniaci solamente che gli ormoni fanno anche la loro parte.
Sicuramente una ragazza mi avrebbe
detto “e che cavolo ma pensi solo a quello” oppure “voi maschi
tutti uguali”.
Per farla breve MOLTI degli aspetti del
maschio vengono dati dagli ormoni (anche per la donna vale lo stesso)
e noi persone Trans ne sappiamo qualcosa e abbiamo la
fortuna/sfortuna di (appunto) guardare dal altra parte dello
specchio e vedere effettivamente che Uomo e Donna Biologicamente sono
diversi per via del effetto degli ormoni che hanno.
Se vi interessa approfondire vi lascio
qualche link interessante:
Sono d'accordo con a linea generale dell'articolo, cioè che il sessismo è discriminazione sessuale da entrambe le parti.
RispondiEliminaLa maggior parte, se non tutte, le campagne di sensibilizzazione su quest'argomento, sono concentrate sulla discriminazione femminile. E' bello quindi vedere che c'è qualcuno che porta l'attenzione anche su quella maschile!
Del resto con l'emancipazione i confini di genere femminili sono diventati più sfumati rispetto a quelli maschili che rimangono tutt'ora più rigidi.
Mi è piaciuto anche il pezzo su Wiseman. Una cosa soltanto, Silvia, a volte sei un po' prolissa :-\
E dire che ero convinta che non avessi scritto abbastanza :p Beh, ti ringrazio dei complimenti e se avrai voglia di indicarmi dove secondo te un articolo del genere avrebbe potuto essere tagliato, per quelli futuri, procedi pure.
RispondiEliminaSono d'accordo quando dici che grazie all'emancipazione femminile arrecata dal femminismo i confini di genere femminili sono diventati un po' più sfumati rispetto a quelli maschili... per lo meno, sono d'accordo se intendevi che c'è molta più informazione rispetto al passato del sessismo verso le donne, delle loro lotte, del loro dolore e delle loro discriminazioni quotidiane e in senso più ampio. Se ne parla, se ne scrive, ci sono dibattiti, c'è più consapevolezza. Nonostante il sessismo sia ancora molto radicato nella nostra società, più se ne discute e più si può estirpare. Per gli uomini che si discostano dallo stereotipo del macho non esiste un movimento analogo che si sollevi contro il sessismo allo stesso modo in cui il femminismo si è sollevato per le donne, così quel poco di informazione che abbiamo viene sempre dall'interno del femminismo stesso. E servirebbe più di quanto si immagina nella strada verso la libertà a prescindere dal sesso biologico e dall'identità di genere. - Silvia -