“Sono uguali due rondini se non sei una rondine”(Danilo Dolci)
Articolo di: Silvia Selviero
Immagino
di avervi rotto abbastanza le pluffe con l’esplicitare il fatto che
sono nata con la mente e il corpo di una ragazza, e che per questo
sono sempre stata un po’ riluttante a entrare nel merito di alcune
questioni, e che non passi articolo senza che qualcuno – non farò
nomi... vero, Ma—rcello?
– di mia conoscenza scommetta tra sé e sé che lo potrei scrivere.
Ma oggi vorrei approfittare dell’esperienza
che ho acquisito dopo molti anni di ricerche sul mondo LGBT, e della
cultura
che anche grazie a FtM Italia (e all’amministrazione della pagina)
mi sono fatta su voi carciofini, per andare oltre la mia riluttanza a
parlare di qualcosa che non ho sperimentato sulla mia pelle e dare a
tutti quelli a cui interesserà e apprezzano i miei articoli
un
suggerimento.
Anche
se è un suggerimento molto difficile da dare.
Non
penso di dover stare qui a ripetervi cosa sia la disforia di genere,
naturalmente. Al di là di qualsiasi tecnicismo e qualsiasi
generalizzazione (“odio
e ostilità verso il proprio corpo di nascita, forte e persistente
identificazione nel sesso opposto, malessere profondo che può
condurre i pazienti a comportamenti autodistruttivi...”),
nessuno può conoscere la vostra canzone, come dicono in inglese, e
il vostro unico modo di aver sofferto in un mondo transfobo per il
vostro sesso biologico meglio di voi. Cosa significhi odiare certe
parti del proprio corpo e credere che siano lì per farsi beffe di
voi; non riuscire a condividere alcuni momenti di intimità non solo
con eventuali partner ma anche e soprattutto con voi stessi; avere
alienazione anche solo quando vi guardate in qualche superficie
riflettente, fosse anche lo schermo di uno smartphone; domandarvi
ossessivamente cosa abbiate fatto per meritarvelo; e cercare di
impedire all’idea di essere uno scherzo della natura di annidarsi
nel cervello fino a distruggervi completamente l’autostima; non mi
permetterò di dirvi come vi dobbiate sentire e preferisco non
approfondire la parte più dolorosa di tutto ciò.
In
un mondo dove la comunità transgender sta cominciando ad essere più
conosciuta, naturalmente, arriva anche una piccola scialuppa di
salvataggio per uscire da un mare di disforia; una comunità di
persone che comprendono, che condividono la propria esperienza, con
cui non sempre è necessario spiegare tutto ogni volta perché lo
sanno già, che riescono a provare qualcosa di più della semplice
solidarietà, che danno i nomi di medici e centri competenti, che vi
fanno guardare più a fondo dentro voi stessi, che con la loro
testimonianza riescono a creare una coscienza collettiva. E tutte
queste cose sono positive perché includono anche – se avete
abbastanza fortuna – un rigenerante senso di appartenenza, ed
essere in contatto con una parte della vostra identità che fino a
poco tempo fa potevate reprimere o avere troppa paura di scoprire.
Ma
diverso tempo in compagnia (sia virtuale sia nella vita di tutti i
giorni) di ragazzi FtM mi ha insegnato che purtroppo
c’è l’altra faccia della medaglia,
quando si frequenta una comunità in cui in teoria dovrebbe essere
scontato trovare empatia, tolleranza e comprensione.
E
l’altra faccia della medaglia è cercare di costruire le fondamenta
della propria autostima, della sicurezza nella propria virilità
sull’insicurezza.
È
fin troppo comune che i ragazzi che potreste frequentare per cercare
confronto e supporto non abbiano ancora raggiunto un vero e proprio
equilibrio, ed è normale, perché ogni transizione è personale e
comincia prima di tutto dentro di sé; ma è anche normale e umano –
nel senso che non riguarda solo la transessualità FtM ma qualsiasi
gruppo di persone – che chi ha dubbi su di sé cerchi, per
legittimare la propria verità, di invalidare
quella degli altri.
Ed
è lì che finisce male. Quando dalle stesse persone che dovrebbero
accettarvi come simili cominciano a volare frasi come “Se
non hai avuto la mia stessa esperienza e non hai avuto i miei stessi
desideri fatti un paio di domande, perché tanto FtM non sei”,
“Se
questo intervento chirurgico non ti sembra necessario significa che
non sei un ragazzo FtM ma sei solo transgender, e va benissimo, ma
smettila di mentire a te stesso e spacciarti per uguale a me”,
“Mi
dispiace, sei troppo diverso per andare bene a noi diversi, vattene”,
e il
senso di appartenenza viene al prezzo di doversi adeguare
all’esperienza, ai desideri, ai dubbi, alle insicurezze, ai
bisogni, alle lotte e ai dettami della maggioranza,
anche quando non sono adatti a voi come individui unici e
irripetibili. Quando l’empatia e la meravigliosa sensazione di
connettersi con altri esseri umani in maniera più completa viene
sostituita dal ripiegarsi su se stessi e non voler accettare il punto
di vista dell’altro. Quando la tolleranza diventa intolleranza solo
perché un altro ragazzo FtM non è la propria replica esatta e
obbliga a scendere a patti, di nuovo, con la propria disforia e le
ragioni che ci sono dietro. Quando si pensa di avere il quadro
generale di ciò che un ragazzo FtM dovrebbe essere, e delle lotte
che deve affrontare, e poi arriva qualcuno che lo smentisce, che
magari ha avuto una disforia minore di un altro, ed è molto più
facile provare ad affossare il secondo e a riempirlo di dubbi che
accettare di ricominciare la propria ricerca da zero.
Per
farvela un po’ più facile, anche a costo di sembrare estremamente
riduttiva e per quanto ridicolo possa sembrare, mi sono accorta che
nella comunità dei ragazzi FtM ci sono tanti ragazzi che fanno
a gara a chi ha una disforia più profonda,
e che in base alla propria sofferenza “misurano” la veridicità
della propria identità maschile. Come se per dimostrare di essere
uomini fosse obbligatorio aver sofferto da morire perché non si è
nati in un corpo maschile. E se qualche altro ragazzo avesse l’ardire
di essersela passata meglio, di essersi fatto meno seghe mentali, è
una voce scomoda, genera invidia e altre insicurezze, mette faccia a
faccia con domande altrettanto scomode,
e quando quel ragazzo si sente vomitare addosso l’accusa di non
essere abbastanza uomo – una delle cose più tremende che si
possano dire da un carciofino all’altro, dal momento che già
dall’esterno un ragazzo FtM non è visto come un uomo a tutti gli
effetti – è fin troppo comune che invece di cercare di uscire
dalla disforia ci si impantani, si crei dei problemi che magari non
avrebbe avuto se non gli avessero instillato il dubbio, si faccia
seghe mentali che gli altri vorrebbero che si facesse...
...
Ragazzi miei, una cosa del genere non è nulla di più lontano
dall’euforia e dal benessere.
Quindi
veniamo al mio suggerimento.
Ponete
a voi stessi le seguenti domande: se voglio raggiungere il vero me
stesso e liberarmi dalla disforia, mi aiuterà aggrapparmi ad essa
per dimostrare che sono un “vero” uomo? Ed è giusto che siano
gli altri a decidere cosa sia un “vero” uomo? Siamo sicuri che
qualcun* altr* abbia scritto la definizione inconfutabile di virilità
e la possegga, e che sia mio dovere adeguarmi per dimostrare la mia
identità maschile? Ascoltare umilmente le opinioni degli altri è la
stessa cosa di credere che gli altri abbiano sempre ragione e io
torto? È salutare per me frequentare persone che invece di aiutarmi
mi vogliono far avere le loro stesse insicurezze o peggio solo per
stare meglio con se stesse e marcire nel pantano delle loro illusioni
su cosa sia la virilità, trascinandomi con sé? Una persona che non
accetta che il genere maschile – un
concetto così astratto, così personale, così variabile da cultura
a cultura
– si possa declinare in moltissimi modi diversi, e che una cosa del
genere sia una ricchezza e mai un impoverimento, è una persona
sensibile, colta e percettiva, una valida risorsa per me?
Se
avete risposto “no”, congratulazioni, siete pronti per leggere
questo:
Sbattetevene
le palle (mentalmente ce le avete tutti) di chi vorrebbe farvi
costruire la vostra autostima intrecciandola con la disforia, e di
chi quando è insicuro della sua virilità si perde nella disforia
legittimandone le sue sfaccettature dolorose pretendendo che facciate
altrettanto, perché una strada del genere non vi porterà mai ad
avere un equilibrio e un orgoglio di essere voi stessi.
Imparate
prima di tutto ad ascoltare voi stessi, a conoscere voi stessi in
profondità, e abbiate presente che se è vero che “due
rondini sono uguali solo se non sei una rondine”,
quando è una rondine stessa a non assimilare questa sacrosanta
verità tanto vale abbandonare il suo stormo in cerca di lidi
migliori.
E
non siate malpensanti, il fatto che abbia usato la metafora di un
uccello è puramente casuale. ;)
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