Transessualità e giornalismo

Quello che va e che non va

Articolo di: Silvia Selviero

Secondo il mio calendario – e anche secondo il vostro, ne sono sicura – viviamo nel ventunesimo secolo, più precisamente nell’anno 2015 d.C., se stiamo a quello Gregoriano. Il che significa che la transessualità è, in teoria, un argomento vastissimo, antico non solo di secoli ma di millenni, che ci dovrebbe essere proposto ormai in tutte le salse: dal punto di vista storico, letterario, cinematografico, artistico, mistico, sociale, culturale, esistenziale… le vite e le identità dell’essere umano sono un po’ come le vie del Signore. Dico “in teoria” e “dovrebbe” perché la grandissima disinformazione di tanti giornalisti, purtroppo, mi sconfessa in pieno, e non di rado sia io sia Massimo, quando abbiamo condiviso alcune notizie sulla pagina Facebook di FtM Italia, abbiamo dovuto fare i conti con l’ignoranza che dilagava in tanti testi scritti.
Dopodiché mi sono detta: si può fare di meglio per aiutare chi cerca informazioni al riguardo? Posso io, aspirante scrittrice e blogger senza una laurea in Giornalismo, avvalermi della mia cultura sulla T nel mondo LGBTQIAA e armarmi anche di comune buonsenso, per passare al setaccio gli errori più diffusi nel trattare di transessualità e spiegare come mai siano errori?
Lo scopriremo in questa puntata.

Step 1: Su cosa vertono gli articoli italiani?
Orsù, miei prodi, facciamo finta di essere quello che in effetti siamo, utenti comuni che fanno ricerche su Gughel!
Niente ignoranti maliziosi qui, eh?, di quelli che scrivono “trans” su YouPorn e non vanno oltre, immedesimiamoci per un attimo in persone che vorrebbero uscire dalla propria ignoranza andando a digitare “trans” e affini su Google news in lingua italiana, e scopriamo insieme ciò che il giornalismo del Belpaese offre.
Circa 13.900.000 risultati. E nella prima pagina di Google news cosa troviamo?
Al top della classifica: “Sono schifata”: così l’assessore Donazzan boccia la prof trans in classe (Addirittura una prof che viene bocciata? Ma che c’è stata, un’inversione dei ruoli? Bel titolone forte! Ah, aspetta, è un’assessora… che ha usato parole così virulente? Ma cos’avrà fatto questa professoressa?)

Al secondo posto: Trans in cattedra, la vicepreside fa rivestire Cloe: “Più sobria”, e in piccolo, su una testata simile, Prof trans a scuola, la vicepreside: “Ha capito di aver sbagliato”. (A quanto pare faceva spogliarelli in classe, dal momento che l’assessora Donazzan si è dichiarata “schifata” e la professoressa non si è dovuta “cambiare d’abito” ma addirittura “rivestire”, o c’è stato un volontario/involontario utilizzo ambiguo della lingua italiana? E ha sbagliato perché è trans o ha sbagliato perché spogliarellista?)

Al terzo posto (premio di consolazione, in fondo è sempre al top della classifica, per un pelo): Timide riaperture delle chiese cristiane verso i trans. (Toh, non sapevo esistessero anche chiese musulmane, induiste ed ebraiche!)

Al quarto posto: Trans Free? Come vivranno le persone trans dopo la sentenza 221 del 2015 della Corte Costituzionale (A quanto sembra con un Free Pass, come evincerebbe una scema qualsiasi dal vostro titolo! O è un anglicismo che richiama qualche lista dal sapore discotecaro per aumentare le visualizzazioni?)
E a scendere…

Cinque: Botte fra trans per il fidanzato (Lo stereotipo della MtF che cerca a tutti i costi di imitare le donne cisgender accapigliandosi con le sue simili per un uomo è sempre in agguato!)

Sei: La ragazza rimorchiata è un trans, il marine la uccide: condannato a 12 anni (Cronaca nera dall’estero, mi domando se ad alcuni quei 12 anni sembrino una pena troppo severa)

Sette: Sesso, trans e nudo: vietato circo ai minori a Napoli (Era Il Circo De Los Horrores, ma scriverlo così fa pensare che le persone transessuali possano stare solo in un circo)

Otto: Sarah, la trans che lavora in polizia: «Ecco lo Sportello Nuovi Diritti» (Un titolo abbastanza decente, esauriente e sobrio, se non fosse che transessuale non è un sostantivo ma un aggettivo, ma cerchiamo di non trovare il pelo nell’uovo, rispetto agli altri è una buona notizia…)

Nove: Il prof trans che insegna vestito da donna (Oh, è un ragazzo FtM che insegna vestito da donna? Allora dov’è il problema, si sta reprimendo per essere conforme a ciò che la società vuole da lui, no? Sono sarcastica, ho capito che parlano ancora di Cloe al maschile…)

Dieci: TRANS IN CATTEDRA – L’affondo dell’assessore Donazzan: “Una degenerazione, conseguenze per il dirigente scolastico” (Certo, le parole feriscono più della spada, ma siamo sicuri che non sia un po’ disumanizzante scrivere “affondo” per una professoressa e specificare soltanto che la sua presenza è una “degenerazione” che porterà a “conseguenze” per il dirigente scolastico?)

Quindi, tirando le somme, da questa sbirciata ai titoli della prima pagina troviamo dieci e passa articoli.
Di questi, la quasi totalità ha come (s)oggetto da esaminare una donna MtF, perché l’unica eccezione è il genericissimo articolo sulla nuova sentenza della Corte Costituzionale, e la transessualità FtM è ancora una volta invisibile. (Senza contare che le persone transgender e queer, come al solito, non esistono)
Degli articoli che prendono in esame le MtF, la totalità di essi le presenta come
  1. Oggetti da esporre alla pubblica gogna, come l’ottimo esempio che ci dà l’assessora Donazzan
  2. Spudorate mezze nude che traumatizzano gli adolescenti con la loro stessa esistenza e abbigliamento
  3. Creature da circo la cui visione dovrebbe essere vietata ai minorenni perché l’essere transessuali è irrimediabilmente legato a sessualità e nudità
  4. Voci solitarie che parlano di nuove leggi per i loro diritti
  5. Cafone manesche che si prendono a capelli per guadagnare l’attenzione maschile
  6. Creature infide che dopo aver sedotto il pover’uomo di turno rivelano “l’inganno” celato dietro alla loro “finta” identità femminile e scatenano la sua ira, “andandosi a cercare il loro omicidio” nella più fedele delle tradizioni
  7. Uomini che si travestono da donne
  8. Persone di cui parlare collettivamente con “i trans” verso cui la Chiesa, asse fondamentale della nostra moralità cattolica e italiana, sta timidamente decidendo di fare qualche passo di nuova conciliazione – probabilmente perché incalzata/obbligata da tutto questo gran cicaleccio che “i trans” stessi stanno sollevando negli ultimi tempi
E di nuovo: se mi devo immedesimare in una persona qualsiasi che legge questi titoli, come faccio a non pensare che le persone transessuali siano finte donne esibizioniste da nascondere, che traviano i ragazzini, che ingannano, picchiano, si prendono il dito con tutto il braccio, si spogliano davanti ai minorenni e se non stanno a scuola stanno al circo, scatenano reazioni irate e parole violentissime addirittura dagli assessori e hanno piegato al loro volere anche un’istituzione potente come la Chiesa, che quasi quasi, piena di “paura del giudizio altrui e timore di sbagliare” (la definizione del dizionario della timidezza), sta vagliando l’ipotesi di riaprire le sue porte che dovrebbero accogliere tutti indiscriminatamente a questi strani esseri? L’eccezione di Sarah, che lavora nella polizia ed è stata rispetto agli altri articoli presentata come una donna, una persona, è troppo en passant per farmi essere più ottimista del ritratto che ne emerge, aspetto solo gli ennesimi ignoranti che gridano al “complotto omosessualista”, alla “totale mancanza di discernimento e buon gusto”, alla “diffamazione della religione e dei nostri valori del vivere civile” e altre puttanate su questa scia!
E alla prima persona che obietta che non posso essere così dura verso articoli di cui ho letto solo i titoli che campeggiavano su Google, rispondo che ha assolutamente ragione, e che vedremo se la mia durezza verrà stemperata dal contenuto di essi tra qualche minuto. In fin dei conti, si sa che spesso i titoli devono avere un certo impatto, a costo di banalizzare la notizia, per invogliare gli italiani medi a cliccare sull’articolo o a sfogliare il giornale cartaceo. Quindi, rimbocchiamoci le maniche, lucidiamoci gli occhiali e vediamo un po’ che genere di sorprese ci riserva lo

Step 2: Come affrontano gli argomenti gli articoli italiani?
Elena Donazzan
Fuori uno, miei prodi, andiamo a leggere che razza di professoressa si trovavano i ragazzi in classe per aver generato un tale acredine da parte dell’assessora Donazzan (no, mi rifiuto di chiamarla “assessore”, è ancora più ideologia del gender di declinare tutto al femminile).
Dopo un inizio piuttosto altisonante (“Sono schifata”. Con queste parole l’assessore all’Istruzione della Regione Veneto Elena Donazzan ha commentato la vicenda accaduta a San Donà del Piave nel Veneziano, e dal tono greve dell’articolo un aggettivo come “tragica” accanto a “vicenda” ci starebbe tutto…), veniamo a sapere che Cloe, a cui si parlerà al maschile articolo natural durante, si è presentata in classe vestita da donna anziché da spogliarellista. Dal momento che una cosa del genere, ossia un coming out (per chi non lo sapesse, un momento in cui una persona LGBT si apre e racconta di sé all’esterno di sua spontanea volontà, perché lo vede come una liberazione, una rivincita o un gesto di autenticità dovuto a se stessa e a chi la circonda), sarebbe stato un Segreto di Stato a causa dei complotti omosessualisti in cui siamo invischiati, anche se è accaduto alla luce del sole e in una scuola pubblica, scopriamo che è stata Elena Donazzan stessa a “svelare” questo affronto “dopo aver ricevuto una segnalazione da parte di un genitore indignato”.
Vengono riportate quindi le dichiarazioni dell’assessora:Rispetto gli orientamenti sessuali di tutti purché restino nella sfera privata. Se qualcuno vuole travestirsi da donna lo faccia a casa sua.” E come al solito, il messaggio che passa è che chi decide di cambiare sesso lo fa per esibizionismo gretto e meschino magari legato a qualche fetish verso i tacchi a spillo, non si preoccupa minimamente di turbare la collettività col suo essere un’anomalia schifosa e che una cosa del genere sia legata in maniera indissolubile alla sfera sessuale solo perché in “transessualità” c’è la parola “sessualità” alla fine – leggete questo mio articolo per approfondire i falsi miti. E invece chi si informa sa che essere transessuali non c’entra un emerito cacchio con gli orientamenti sessuali (amore e attrazione verso chi è al di fuori di me), ma c’entra moltissimo con l’identità di genere (e lo suggerisce la parola stessa, l’identità, ossia ciò che sono all’interno di me).

Adesso, carciofini, se vi devo dire la verità anch’io penso che Cloe avrebbe potuto essere più discreta e ventilare l’ipotesi di un coming out anziché cambiare abbigliamento da un giorno all’altro spiazzando tutti (anche se non so come funzionasse esattamente all’interno della sua scuola, quanta tolleranza ci fosse, se lei l’avesse mai detto agli altri docenti e via di seguito, e dall’altro canto se avesse cercato di abituare i ragazzi a poco a poco l’avrebbero sempre potuta accusare di fare propaganda di qualcosa di privato anziché insegnare, col clima da caccia alle streghe che abbiamo…).
Il punto è che la mia opinione, se io fossi una giornalista laureata e stipendiata per dare notizie su una testata online o cartacea, non dovrebbe contare un cazzo. Essere giornalisti non opinionisti significa essere quanto più neutrali, imparziali e oggettivi possibile, eppure questo articolo (e soprattutto chi l’ha scritto, Americo Mascarucci) si è spinto oltre, come dimostrano queste frasi molto parziali, di condanna e che rivelano una certa avversione mista a fobia per tutto ciò che è “estraneo”, sia nel senso di straniero sia nel senso di sconosciuto e nuovo e proprio di questo millennio:

Una scelta che inevitabilmente ha indignato alcuni genitori che si sono chiesti quanto fosse davvero opportuno un comportamento del genere fino ad investire l'istituzione regionale. 
Un caso che naturalmente ha avuto i suoi risvolti politici, inevitabili nel momento in cui nelle scuole monta la polemica intorno ai presepi vietati. Ci si preoccupa di non urtare la sensibilità dei bambini musulmani esponendo Gesù bambino nel presepe e poi non ci si preoccupa minimamente di turbare le coscienze degli alunni presentandosi in classe con parrucca bionda, gonna, tacchi a spillo e rossetto dopo che fino al giorno prima ci si era presentati come uomo.

Americo Mascarucci
L’istituzione regionale l’hanno investita proprio quei genitori indignati scomodandola, di certo la denuncia non è partita da chi avete accusato di comportamento ignobile, e quella frase mi ricorda tantissimo quelle persone che dopo aver corcato di botte una povera disgraziata (o un povero disgraziato) dicono “Guarda cosa mi hai fatto fare!” o “Guarda cosa ho fatto per colpa tua!”, ossia un capolavoro di colpevolizzazione della vittima e uno scaricare le proprie responsabilità su di essa. Il resto del periodo si commenta da solo e rafforza soltanto la mia convinzione che il giornalista abbia un po’ paura di quello che non conosce e che sia un tantino ignorante di identità di genere e orientamento sessuale.
Dopodiché ci informa che quello a San Donà del Piave non era il primo caso di docenti transessuali che si presentano in classe “dopo aver cambiato sesso” (semmai aver fatto crossdressing, cambiare sesso è un processo così lungo che non può concludersi dall’oggi al domani); menziona quindi il caso dell’anno scorso (anche quello causa di reazioni irate) di una professoressa triestina che si era anch’essa abbigliata in conformità al suo genere al liceo Oberdan, “in quel caso supplente e dunque per nulla intimorito dal rischio di perdere la cattedra”. Aspetta un secondo, pensi che le persone transessuali che insegnano aspettino proprio il momento propizio per scioccare gli alunni con la loro “sorpresina”, ossia quando non c’è più la minaccia del precariato?!?
Eccome se lo pensa, guardate il resto dell’articolo, che conferma l’opinione che mi ero fatta delle sue idee che emergeva da quasi ogni riga!

Naturalmente erano insorte le associazioni di difesa dei transessuali che avevano difeso la legittimità dell’insegnante di presentarsi a scuola con l'identità sessuale che riteneva a lui più appropriata. Non come dunque si è ma come si vuole essere, principio che in pratica è alla base della tanto contestata ideologia di genere, il gender, ossia l’ideologia che promuove il diritto a scegliere la propria sessualità indipendentemente dal sesso di appartenenza.

Il professore veneto che si è presentato in classe vestito da donna nei giorni scorsi ha voluto anche accompagnare il suo gesto con una dichiarazione dal chiaro sapore ideologico postata su Facebook.  

La prof.Cloe
"Bisogna correre perché siamo indietro anni luce rispetto ai paesi avanzati nei diritti umani per le persone trans, non concordo col procedere a piccoli passi". 
E lui, anzi lei, non ha voluto attendere un minuto di più. O meglio, ha atteso di diventare insegnante di ruolo e ha poi deciso di dichiarare apertamente il suo essere trans. 
E per quanto quel professore possa essere preparato o anche migliore di tutti gli altri, resta comunque discutibile la decisione di improvvisarsi donna da un giorno all'altro, mettendo in pratica alunni, genitori e colleghi di fronte al "fatto compiuto". 
Sarebbe interessante conoscere a questo punto l’opinione del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini...

Immagino che capiate come mai non commento tutta questa pappardella: mi sono già espressa a sufficienza qui sull’ideologia del gender, e come al solito vi faccio notare che col termine “identità sessuale” fa un minestrone di orientamento sessuale e identità di genere che serve solo a rafforzare i suoi preconcetti, che quel “Lui, anzi lei” sa tanto di sfottò e di mancanza di professionalità assoluta, che se dicesse a qualcun* di voi che avete scelto la vostra identità o di chi innamorarvi è chiaro come il sole che si ricrederebbe immediatamente perché nessun* di voi ha potuto scegliere, e che questo articolo non è un capolavoro di informazione ma di disinformazione. Sarebbe interessante anche conoscere l’opinione degli studenti di questa sciagurata professoressa, no? Ops, le hanno già espresse, ma mi sembra che siccome non sono le reazioni che chi crede nella teoria gender si aspettava dai ragazzi non contino! O forse è perché sono giovani, non possono avere un’opinione propria ragionata e digerita, parlano da ingenui anche se erano i diretti interessati delle preoccupazioni di chi di dovere e sono stati chiaramente sottoposti a un lavaggio del cervello fino a diventare dei degenderati.
L’articolo sarebbe troppo lungo se passassi al setaccio anche gli altri come questo qui, quindi cercherò di essere breve e vi farò fare un viaggetto lampo all’interno della prima pagina di Google. Come potete notare qui, neppure questo giornalista ha chiara la differenza tra omosessualità (orientamento sessuale) e transessualità (identità di genere), continua a parlare di Cloe al maschile e cosa ancora più curiosa parla delle reazioni che hanno avuto tutti sulla professoressa, ma lei è sempre citata per conto di terzi e le sue reazioni non sono pervenute, e anche le sue parole sono sempre menzionate col discorso indiretto (ed è una pecca di quasi tutti i giornalisti italiani: quando c’è qualche vicenda con una persona transessuale al centro, spesso si parla delle reazioni di tutti quelli che la circondano, ma quasi mai quella persona ha l’opportunità di esprimersi su di sé e sulla sua situazione, quasi mai ha l’opportunità di essere vista come soggetto attivo anziché come oggetto passivo). Se devo dare a Cesare quel che è di Cesare, nell’articolo c’è anche scritto che dopo aver contestato l’abbigliamento scelto dalla Vicepreside Cloe l’ha assecondata ed è sempre venuta a scuola vestita in maniera sobria, e che il tono generale è più calmo e composto ed evita di prendere delle posizioni così scoperte, ma l’idea di dovermi congratulare con un giornalista perché ha fatto il suo dovere senza sparare sentenze a destra e a manca mi rattrista non poco.
A seguire abbiamo un articolo (buone notizie: pacato e ancora più neutrale dei primi due, e ha riportato pure le affermazioni moderate della Vicepreside del liceo Scarpa Mattei e non solo lo schifo dell’assessora Donazzan) che non ha la più pallida idea di cosa sia l’intersessualità, dal momento che la mette tra virgolette come se fosse qualcosa di arcano e una definizione personale data da un unico docente (Michele Romero, peraltro liquidato in un paragrafo in croce), e che sulla vicenda di Cloe riprende le dichiarazioni di tutti fuorché lei, ma in quanto ai pronomi, che ve lo dico a fare?, sono adeguati al sesso di Cloe e non al genere.
Essendo questo articolo solo la cornice di un video non mi posso esprimere, ed avendo io scritto il mio in più giorni non riesco a trovare quello sulle timide riaperture delle chiese cristiane (lo sottolineo, non le chiese musulmane) verso quegli strani esseri che sarebbero le persone transessuali e transgender. Dopodiché vi suggerisco, guidati da un immancabile spirito di autolesionismo, di immergervi nel mondo dei pronomi maschili per “i trans brasiliani” vestiti da donnine licenziose sui marciapiedi di Rimini, nel mondo della denigrazione delle coppie formate da una persona transgender e una cisgender dove lo status di fidanzata della seconda viene messa tra virgolette (‘moroso’) manco fosse uno scherzo o un’assurdità, e della minuziosa descrizione di vendette in stile tronisti di “Uomini e Donne” che in questa occasione culminano con un arresto. Se proprio volessi fare la grammar nazi direi che dal momento che erano due ragazze e non di più nel titolo ci va la preposizione “tra” anziché “fra”, ma non cerchiamo di non esagerare.
Per quanto riguarda la cronaca nera dall’estero, il tono dell’articolo è piuttosto neutrale, ha avuto la decenza di riportare anche le dichiarazioni di chi ha conosciuto la vittima (la famiglia di lei) anziché concentrarsi solo sulla realtà e sul “dramma” del carnefice (e di chi l’ha conosciuto) rendendolo protagonista e alla ragazza uccisa si parla al femminile, è vero, ma non riesce a esimersi dal rispettare tutti i cliché più triti degli assassinii di ragazze cissessuali e MtF italiane e straniere: 

era stato visto uscire dal bar con Jennifer ed entrare con lei nel Celzone Lodge Hotel: secondo varie dichiarazioni, sembra che lui fino a quel momento non sapesse che lei era una trans”, “si è reso conto di una realtà che non riusciva a accettare”, “ha innescato in lui una reazione abnorme”. 

Non posso che essere indignata quando una donna cissessuale perisce per mano di amanti, fidanzati, mariti, fratelli, vicini di casa e uomini vari che la circondano e quanto sembra sempre appropriato a chi di dovere discutere di cos’avesse fatto lei per provocarlo, e qui c’è un meccanismo di colpevolizzazione molto simile, che implicitamente suggerisce che lei avrebbe potuto evitare questa reazione abnorme (ormai la parola “raptus” mi rimbomba nelle orecchie) se avesse fatto coming out prima di andare in hotel, che parla di una “lite violenta” (quindi uno scontro dove tutte e due le parti manifestano aggressività e violenza l’una verso l’altra, e c’è una corresponsabilità della vittima se sfocia nel sangue) e che non aiuta ad empatizzare con lei perché la presenta come una che “se l’è cercata”. E così in questo articolo, nonostante le premesse, Jennifer diventa l’accusata, non la vittima.
Anche perché, se andiamo davvero a scavare,
l’articolo non spende una riga per parlare delle motivazioni intrinseche dell’omicida, su cosa ci fosse per lui di “inaccettabile”, e anche se la giornalista usa un moderato tono di condanna e di shock per scrivere del suo omicidio lui è descritto come un uomo che ha semplicemente avuto una “reazione anormale” e “incontrollabile”, e così questa vicenda non viene presentata neppure come una delle tante facce della transfobia, di ciò che la transfobia spinge a fare.
Ritornando a Cloe, dilettatevi con quest’intervista all’assessora Donazzan, per vedere un altro po’ a che livelli può arrivare la nostra italica ipocrisia, la nostra italica faccia tosta, la nostra italica arroganza e soprattutto la nostra italica ignoranza.
Nulla da eccepire, invece, sul tono gentile ed educato di questo articolo con protagonista (e SOGGETTO ATTIVO che si esprime su di sé, denuncia una situazione vissuta dalle persone LGBT nella loro collettività e non viene contestata da chi sta dando la notizia ogni tre per due) Sarah Mussolino, ma è stato proprio il tono di persona partecipe, interessata e attenta ad alcune problematiche a innescarmi una riflessione: spero di sbagliare, ma mi sembra che gli unici giornalisti che riescono davvero a parlare di transessualità senza strafalcioni siano quelli che si sentono emotivamente coinvolti e che si sono documentati in privato o sul campo di cosa la transessualità sia. E quindi, chi non ne ha fatto esperienza diretta o non l’ha ricercata per motivazioni personali o per un intrinseco desiderio di far bene il suo lavoro, non riesce a dare notizie nel senso più completo del termine, perché siamo tuttora circondati da un mare di ignoranza.
Non riesco più a ritrovare l’articolo sul Circo degli Orrori vietato ai minori a Napoli il cui titolo sembrava suggerire che fosse un circo qualsiasi pieno di trans, nudità e sesso, ma se andate a leggere le altre notizie il fatto che ci siano transessuali in mezzo a tutti gli altri orrori per aumentare lo schifo mi dà da pensare. (Non contesto lo spettacolo di per sé, naturalmente, dal momento che non l’ho mai guardato e perché capisco il fascino sinistro che può avere su alcuni spettatori, assecondando i gusti personali e la sensibilità artistica degli stessi)
Mettiamo tutto a posto, cari miei, e veniamo allo

Step 3: Che genere di errori commettono più spesso gli articoli italiani?
Dalla mia ricerca emerge che gli articoli italiani presentano i seguenti errori:
  1. Quando devono parlare di ragazze MtF e ragazzi FtM, quasi mai usano i pronomi adatti al loro genere, ma li declinano invece come per il sesso biologico; nel caso di interviste a persone transessuali straniere, invece, Massimo riporta che quasi sempre scelgono doppiatori maschili per le MtF e doppiatrici femminili per gli FtM.
  2. Non riescono quasi mai ad esimersi dal dare giudizi influenzati dalla moralità mista a ignoranza di chi li scrive, dimenticando o ignorando l’imparzialità, la neutralità e l’oggettività che il giornalismo dovrebbe includere.
  3. Scrivono quasi sempre “identità sessuale” e “sessualità” aiutando a confondere identità di genere e orientamento sessuale, denotano ignoranza sul mondo LGBT (specie verso le realtà che fanno meno notizia come quelle delle persone intersessuali o queer) e continuano a mischiare le carte in tavola.
  4. Il tono degli articoli è quasi sempre di condanna, di shock, di stupore o di perplessità, e nel migliore dei casi, di fronte ad episodi di cronaca nera e a omicidi a sfondo transfobico ci dobbiamo aspettare reazioni spiazzate da parte di chi li scrive per i gesti abnormi dei carnefici (non contestualizzati come atti estremi di transfobia).
  5. Di fronte a reazioni scandalizzate, ostili o violente verso una persona transessuale, suggeriscono molto spesso ciò che quella persona avrebbe potuto fare per prevenirle, accusandola implicitamente di essersele meritate per un comportamento scorretto, impudente o immorale e di fatto colpevolizzandola.
  6. Quasi mai indagano sulla mentalità comune in Italia rispetto alla realtà transgender.
  7. Quasi tutti gli articoli presentano la sessualità (e un certo tipo di sessualità, quella promiscua e provocante) come parte indissolubile dell’identità di genere di una persona transgender.
  8. Se e quando, di rado, si riportano le dichiarazioni di una persona transessuale su una vicenda di cui è stata protagonista, quasi sempre sarà col discorso indiretto, sminuita rispetto alle dichiarazioni di chi circondava quella persona e soggetta al biasimo di chi scrive.
  9. Parlano tuttora di ideologia del gender.
  10. Menzionano l’omosessualità a sproposito, presentandola sempre come parte integrante della transessualità.
  11. Quasi mai si parla di ragazzi FtM perché “i trans” vengono presentati quasi solo come MtF, o meglio, come “uomini che si travestono da donne”.
  12. Se rapportano la transessualità all’infanzia o all’adolescenza, soprattutto se parlano di persone transessuali a contatto con bambini o ragazzi, le persone transessuali sono presentate quasi sempre come esibizioniste che vogliono traviare anime innocenti con la loro anormalità, ricalcando da vicino o alla lontana lo stereotipo del “pedofilo gay e cattivo maestro che adesca bambini per approfittarne, per narcisismo e per malvagità”.
  13. Quasi mai una persona transessuale è parte integrante dell’articolo come persona, da essere umano, e non solo per la scelta di usare transessuale come sostantivo anziché come aggettivo, ma anche e soprattutto perché quasi mai ha l’opportunità di parlare di sé in prima persona. Si commenta tutto del comportamento di quella persona, ma il silenzio che c’è verso tutti gli altri aspetti della sua vita oltre alla transessualità, il silenzio su chi fosse, di cosa avesse bisogno, cosa le piacesse e cosa ricercasse nella vita di tutti i giorni, non aiuta a renderla un essere umano al pari di chi ha aperto bocca su di lei.
Oltretutto emerge che le parole più usate per parlare di transessualità siano: travestire, travestito, travestiti, indignato, orientamento sessuale, sessualità, sesso, scelta, privato, polemiche, proteste, caso, dichiarazioni, diritti, associazioni, difesa, ideologia, ideologico, ritenere, identità sessuale, preoccupazione, influenzare, turbare, sensibilità, attesa, genere, limitazioni, apertura. Non un granché per un gruppo oppresso su cui si cerca di fare informazione nel terzo millennio, no?
Si poteva scrivere di meglio? Nel mio essere una comunissima blogger e un’aspirante scrittrice senza una laurea in Giornalismo, ma anche una lettrice vorace, un topo di biblioteca e una persona che nonostante la sua eterosessualità e la sua cissessualità si è informata per tanti anni sul mondo LGBTQIAA, finché non l’ha reso parte fondamentale della sua vita e della formazione dei suoi valori, direi di sì. E se qualcun* avesse qualcosa da contestare, può farlo, finché mi dà argomentazioni e non insulti o vacui dissensi: perché se io ho speso 4537 parole per spiegare come mai gli articoli italiani siano manchevoli nel parlare di transessualità, non mi accontenterò di un “no, tu non hai ragione perché sì” e poi silenzio assoluto.








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