Articolo di: Silvia Selviero
Sto
pensando. Sto pensando. Cosa posso aggiungere a una vicenda che si ripete
sempre nella mia vita di attivista e di persona?? I miei stessi pensieri, tra
presente e passato.
A farmi riprendere la mia attività di blogger adesso
che sto con le mani nei capelli per la promozione del
nostro libro (a proposito, abbiamo fatto il terzo sold
out delle copie cartacee, ma se ne volete di quelle digitali non esitate a
domandare!) non siete stati soltanto voi carciofini, che mi mancate come
all’Italia la modifica della legge 164/82, ma anche un po’ il mio senso della
giustizia.
Per quei pochi di voi che non rientrano nella
categoria Puffi o unicorni queer fuori dal mondo sarà la sempreverde scoperta
dei prodotti della Proraso quando ti è spuntato il primo pelo dall’inizio della
TOS, ma per i restanti, lasciate che vi racconti della nuova, straordinaria
notizia con cui si è aperto il 2017. Sul numero di questo gennaio del National Geographic Magazine è apparsa
per la prima volta in copertina una persona transgender, una ragazzina di soli
nove anni di Kansas City di nome Avery
Jackson, che fa parte degli altri 80 bambini, intervistati sulla loro
identità di genere e sulla loro visione dei ruoli di genere, del futuro e
dell’ingiustizia, che vogliono vivere consapevoli di essere se stessi. Adesso,
che una rivista il cui anno di fondazione è il 1888 e che si preoccupa da
allora dell’esplorare il mondo attraverso foto, video, spedizioni, geografia,
ecologia, politica, attualità, etica, arte e medicina per cinquanta milioni di lettori fissi ogni mese abbia finalmente rotto
un muro di silenzio su una tematica così delicata, o diciamo pure controversa,
è senza dubbio un passo avanti di quelli che non si possono ignorare!
Non solo
hanno parlato a un pubblico che più ampio sarebbe difficile da trovare di cosa
significhi essere transgender, ma hanno dimostrato anche che è una
condizione dell’essere che non si limita a toccare qualche adult* isolat* e dal
passato tragico, come stereotipo vuole, ma si estende a chi di determinate
realtà teoricamente dovrebbe essere a digiuno data la sua giovinezza, e invece
c’è dentro fino al collo, perché, per meglio dire, questa realtà la racchiude
dentro di sé.
Ci sono tutti i presupposti per far arrivare al
pubblico la stessa cosa in maniera capillare e veritiera: identità di genere,
età evolutiva, testimonianze dirette, storie di vita vissuta, ruoli di genere e
gabbie mentali, uno sguardo alla mentalità di bambin* provenienti da 8 Paesi
del globo, reazioni dell’ambiente circostante, psicologia, speranze per il
proprio futuro, informazioni che non siano soltanto tecniche ma soprattutto
umane. Ma cosa mi impedisce di dire che è una notizia fantastica??
Le reazioni di conservatrici e conservatori, che non
si sono fatte attendere, ma che questa volta hanno veramente oltrepassato ogni
limite perché io mi possa permettere di stare zitta.
La copertina italiana del numero di gennaio, "epurata" dalla presenza di Avery Jackson |
“L’opposto
dell’amore non è l’odio, è la paura”, diceva un analista che ho conosciuto. E
nonostante i rigurgiti di psicoanalisi datata con cui abboffava le sue sedute,
su questa penso che il signor Freud avesse ragione.
Come potete leggere qui
e qui,
dopo che alcuni vescovi italiani hanno cominciato a polemizzare perché non
tolleravano la vista di una bambina transgender che si esponeva con coraggio su
una rivista di quel calibro (forse tra di loro c’è chi l’avrebbe preferita
“esposta” sullo schermo del loro computer come uno sporco segretuccio) la
copertina dell’edizione italiana è stata censurata. Ci dice Gayburg che la
rivista cattolica Avvenire, come al
solito, non perde occasione di infangare una corretta informazione sul mondo
transgender buttandola in medicina (perché si sa che quando si usano
espressioni come “parliamo di scienza, non di ideologia”, “fase prodromica”,
“rivoluzione antropologica” e “disforia di genere in età pediatrica” sembrerà
sempre una pericolosissima patologia sfruttata per gli “egoismi della
propaganda omosessualista” in un’epoca che attribuisce a medici e
psicoterapeuti un potere vicino a quello di un dio), e rifiuta ogni dialogo
reale, scevro da preconcetti, con la redazione del National Geographic che invece cerca di far comprendere quanto la
tematica sia stata trattata nel rispetto della piccola Avery e a 360 gradi.
Ma magari mi fossi fermata a leggere quello che
Gayburg riporta. Non avrei provato più del classico disgusto, del mio classico
storcere il naso, del sospiro con il quale mi preparo ad affrontare le bufale
di qualche altr* bigott* che verrà ad accusare me e i ragazzi di “propaganda
del Gender” perché siamo attivisti, o i loro silenzi imbarazzati e le loro
fughe quando vengono sconfessati. Io
mi sono andata a leggere l’articolo originale di Luciano Moia.
Chi
regge le proprie argomentazioni sulle sue paure e vede sgonfiare le prime come
bolle di sapone perché vengono sconfessate dai fatti scapperà sempre per
tornare a ripeterle a pappagallo in un’altra sede. È successo anche ad Alberto
Pellai,
tra i primi a denunciare le bufale sulla teoria gender.
Luciano Moia non parla tanto di Avery (né degli altri
che assieme a lei hanno detto la loro), ma di “bambini sbattuti in prima pagina
per la propaganda transgender” riducendola ad una categoria di persone
preziosissime sfruttate per i bisogni dei “malati” transgender, o per meglio
dire, per la loro cosiddetta propaganda ideologica e i loro preconcetti
personali. Già, le persone transgender, proprio quelle che dovrebbero essere
nascoste ai bambini e agli esseri umani (tanto i bambini sono solo esseri umani
in fase di formazione, vanno protetti perché non capiscono niente), e che
quando vorrebbero parlare di sé sono accecate dalla loro “pericolosissima
patologia”, come un cancro-demone che impedisce al cervello e alle corde vocali
di sentire, di vibrare per raccontare la verità dell’essere.
Sempre
scegliere paroloni, titoloni forti, per attirare l’attenzione; perché chi punta
alla pancia dei lettori anziché alla testa si rivolge a una massa, e una volta
che la violenza delle parole li ha raggiunti li può stritolare indisturbata in
una morsa.
QUALCUNO
PENSI AI BAMBINI! CERTE PORCHERIE NON LE DOVREBBERO SAPERE, POI CRESCONO
DEVIATI!
Il signor Moia dice che essendoci bambini con
“malattie rare” di mezzo (facendo un minestrone tra intersessuali e
transessuali e buttandoci qua e là la parola “differenziazione sessuale” e
“sesso” perché come
Luisa Muraro insegna “genere” è soltanto una maniera un po’
pudica di dire “sesso”, non un concetto studiato ampiamente in sociologia da
decenni e indispensabile per capire il concetto di identità di genere,
cisgender, transgender e tutto il pacchetto che qui discutiamo da anni) la cosa
andrebbe trattata con la giusta riservatezza, riservatezza mandata affanculo
dal National Geographic che l’ha, lo
ricordiamo, “sbattuta in prima pagina” per i suoi egoistici interessi
personali.
In fin dei conti l’aveva compreso anche Sulpicio Galba che il
modo migliore per generare una reazione forte, a caldo, emotiva, e catturare
l’uditorio è di tirare in mezzo i bambini, ma questo non è affatto
strumentalizzarli, per carità divina..
“La transfobia non esiste più, è una
stronzata, tanto ormai la transessualità è stata completamente sdoganata e ne
parlano dappertutto!”
“Se lo è stata, perché si cerca di silenziare chi prova a parlarne a tutto tondo, non soltanto come l’ennesimo caso di vittima senza nome dell’odio e dell’ignoranza degli altri riportato al telegiornale??”
“Serve un po’ di pudore nel parlare di certi argomenti, qualcuno pensi ai bambini!”
“Se lo è stata, perché si cerca di silenziare chi prova a parlarne a tutto tondo, non soltanto come l’ennesimo caso di vittima senza nome dell’odio e dell’ignoranza degli altri riportato al telegiornale??”
“Serve un po’ di pudore nel parlare di certi argomenti, qualcuno pensi ai bambini!”
E io vorrei sapere quanto può essere intellettualmente
disonesto da parte di Avvenire citare
il
discorso della caporedattrice del National Geographic Susan Goldberg solo
per decontestualizzarlo, come ha fatto ignorando bellamente che lo “spettro” di
genere a cui lei si riferiva non era una chimera da inseguire ma un range di
sfumature tra ciò che la nostra cultura vede come maschile o femminile. “Spettro”
come spectrum, neppure come il
fantasma della teoria gender, che appena accendi la luce si ritira nell’ombra o
addirittura scompare perché non esiste. Di menzogna in menzogna, cerchiamo di
leggere tutto..
Gli adulti ne discutono, ma anche i ragazzi come Avery
vogliono dire la loro. «I bambini di nove anni mostrano lucidità e saggezza
sorprendenti», dice Theresa Betancourt, professore associato di salute e
diritti dell’infanzia. Avvertono la pressione dei loro pari e maggiori
responsabilità, prosegue, ma non conoscono il conformismo e l’autocensura che
sono tipici dell’adolescenza. [1]
Interessante anche notare che il signor Moia ha usato
il vecchio nome della disforia di genere ancora nel DSM-IV, “disturbo
dell’identità di genere”, perché “disturbo” suona più ufficiale, e al plurale
per dimostrare che, come Satana, il “cancro transgender” ha molti nomi. Non credo sia incidentale.
“Si continua a vedere il bambino come un piccolo idiota
innocente, continuamente attonito e stupefatto per quello che gli accade
intorno. “È piccolo, tanto non capisce niente.” Uno spettatore della vita,
della quale non gli sarà concesso di essere protagonista finché non raggiungerà
l’età adulta.
Ma il bambino è una persona seria. È un formidabile, accanito, instancabile, attento, preciso lavoratore [..] Prova e riprova, fallisce e ritenta con pazienza infinita finché non raggiunge una sua personale perfezione, sempre pronto a esporsi, a rischiare, in un mondo di adulti fatto per gli adulti che lo ostacola invece di favorirlo, sempre pronto al ridicolo, alla commiserazione, alla pietà, all’iperprotettività o all’indifferenza [..]
Gli andrebbero dati i mezzi, il materiale per le sue esplorazioni, come si fa con un ricercatore, e poi bisognerebbe lasciarlo in pace. Bisognerebbe anche dargli la forza di staccarsi dai legami degli affetti familiari per aprirsi a rapporti sociali più vasti”, diceva Elena Gianini Belotti alle pagine 123-124 di “Dalla parte delle bambine”, cosa di cui era convinta anche Maria Montessori, che guarda un po’, è stata criticatissima in Italia e apprezzatissima all’estero.
Ma il bambino è una persona seria. È un formidabile, accanito, instancabile, attento, preciso lavoratore [..] Prova e riprova, fallisce e ritenta con pazienza infinita finché non raggiunge una sua personale perfezione, sempre pronto a esporsi, a rischiare, in un mondo di adulti fatto per gli adulti che lo ostacola invece di favorirlo, sempre pronto al ridicolo, alla commiserazione, alla pietà, all’iperprotettività o all’indifferenza [..]
Gli andrebbero dati i mezzi, il materiale per le sue esplorazioni, come si fa con un ricercatore, e poi bisognerebbe lasciarlo in pace. Bisognerebbe anche dargli la forza di staccarsi dai legami degli affetti familiari per aprirsi a rapporti sociali più vasti”, diceva Elena Gianini Belotti alle pagine 123-124 di “Dalla parte delle bambine”, cosa di cui era convinta anche Maria Montessori, che guarda un po’, è stata criticatissima in Italia e apprezzatissima all’estero.
Al
direttore di Avvenire è stato
chiesto, da parte del direttore dell’edizione italiana del National Geographic [2], se ha figli o se può comprendere comunque idealmente che i
bambini “afflitti da disturbi della differenziazione sessuale” (per citare il
signor Moia) sono soli, spaesati, non smettono di stare male se si negano loro
modelli e la cultura necessaria per poter affermare la propria identità senza
pericolo di sbagliare, e che questo malessere non se ne va così facilmente
rinchiudendoli in due dogmatiche, granitiche, dicotomiche caselle quali sono
uomo-maschio e donna-femmina, e credendo come al solito che a un essere umano
che nasce con il pene equivalga un lui che cresceremo perché sia il nostro
stereotipo di uomo, a ogni essere umano nato con una vagina equivalga una lei che cresceremo perché sia il nostro stereotipo di donna, e che quando c’è
quell’ambiguità genitale che fa inorridire si possa tirare a sorte senza
chiedere affatto l’opinione delle persone dirette interessate.
“Sono ignorante della realtà transgender ma so che di pancia
non mi piace, quindi per non sbattere il muso contro i miei pregiudizi
preferisco pensare che tu sia vittima di una malattia peggiorata da un raggiro
di adulti assolutamente immorali, e ti impedisco di informarti leggendo di
ragazzini della tua età che fanno cose che PER ME sono sbagliate!”, dicono tra
le righe molti genitori che vanno al Family Day e che non sanno cosa siano
l’intersessualità e la transessualità, neppure l’ombrello transgender.
Si suicida perché era transgender?? No, si suicida per la
transfobia degli altri, che spinge a credere che la propria identità sia
un’aberrazione!
"Mi dispiace veramente che tu ti senta esclusa dal resto del gruppo, perché non consulti uno psicoterapeuta per risolvere i tuoi problemi relazionali??"
"Mi dispiace veramente che tu ti senta esclusa dal resto del gruppo, perché non consulti uno psicoterapeuta per risolvere i tuoi problemi relazionali??"
Chi dice che le persone transgender sono dei mostri espulsi
dalla matrice della globalizzazione, dei subumani dei quali si può parlare
collettivamente ma a cui va tappata la bocca quando cercano di esprimersi in
prima persona, senza filtri, userà sempre un linguaggio pseudo anglicizzante,
con termini presi a prestito da moda, pubblicità e politica (“ci stiamo
anglosassonizzando, abbasso i diktat dell’Unione Europea che ha importato il
Gender e vuole distruggere la nostra cultura locale e la cristianità!”). Sono i
tormentoni della nostra epoca e la fonte dei capelli bianchi di parecchie
persone, proprio come accusano chi è transgender di stare sempre in mezzo, di
imporsi alla loro attenzione, perché il solo fatto di doverne appurare l’esistenza
per i bigotti è un’invasione di spazio intollerabile, un affronto al loro modo
di vivere e una violenza.
Omobitransfobia: l’unica malattia che colpisce chi ne è
immune.
Tratta da http://divara.tumblr.com/post/3125112235/occorre-un-nemico-per-dare-al-popolo-una-speranza |
E
per tutta risposta non soltanto Avvenire
ci tiene assai a presentare Avery come una malata manipolata dagli interessi di
“altri” adulti egoisti e narcisisti, malata che si lascia vampirizzare
volentieri e volentieri accetta di essere la “testimonial” (parole di Luciano
Moia, andate a vedere) della propaganda transgender, ma lei e la sua famiglia stanno
pure ricevendo minacce di morte dai membri della American Family
Association, che già ufficialmente vuole che la rivista venga ritirata perché
nessuno possa leggere del loro speciale, e che nei messaggi si scatena
invitandola a suicidarsi a suon di cyberbullismo, e invitando a sterminare
tutte le persone transgender perché in fin dei conti “i bambini così saranno al
riparo”.
“L’ideologia del gender ci vuole omologare cancellando le
sane e naturali differenze tra uomini e donne, col pretesto di fare giustizia,
e ammazza l’unicità di uomini e donne!”
“Ma scusa, allora perché quando io affermo la mia unicità di donna che non vuole avere figli per scelta, o il mio amico Daniele si commuove ascoltando l’Opera e fugge se c’è da giocare a calcio ci critichi??”
“MA TU SEI UNA FEMMINA E LUI UN MASCHIO, DOVETE ESSERE COME TUTTE LE ALTRE FEMMINE E GLI ALTRI MASCHI!”
“Ma scusa, allora perché quando io affermo la mia unicità di donna che non vuole avere figli per scelta, o il mio amico Daniele si commuove ascoltando l’Opera e fugge se c’è da giocare a calcio ci critichi??”
“MA TU SEI UNA FEMMINA E LUI UN MASCHIO, DOVETE ESSERE COME TUTTE LE ALTRE FEMMINE E GLI ALTRI MASCHI!”
“Lui è uno che ha bisogno di cyberbullismo fino a quando non
si suiciderà”
“Ama il tuo prossimo come te stesso”, “Non fare agli altri
ciò che non vorresti fosse fatto a te”, “Non dire falsa testimonianza”, “Chi
offende uno solo di questi piccoli offende me”, dicevano la Bibbia e Gesù
Cristo.
“Ma che c’entra, sono
loro che hanno attaccato per primi imponendomi di accettare cose contronatura,
io mi sto solo difendendo!”
“L’unico modo in cui i vostri bambini saranno al sicuro è di
sterminarli”
“Solo un tranvione in meno al mondo!”
“Comunque quel bambino non l’avrei mai voluto come amico di mia figlia!”
“Silvia, ma perché non avete fatto pace da compagni di classe e hai dovuto chiedere l’intervento dei professori?? Sei una bambina, non ti sai difendere da sola??”
“QUALCUNO PENSI AI BAMBINI!”
“Comunque quel bambino non l’avrei mai voluto come amico di mia figlia!”
“Silvia, ma perché non avete fatto pace da compagni di classe e hai dovuto chiedere l’intervento dei professori?? Sei una bambina, non ti sai difendere da sola??”
“QUALCUNO PENSI AI BAMBINI!”
Ma ai bambini come Avery, chi ci
pensa?? Quelli che vengono spacciati per piccoli idioti non-tanto-innocenti e
che secondo questi ignoranti terrorizzati dovrebbero essere riconvertiti alla
normalità (come scrivono su Avvenire)
o addirittura essere sterminati (come
si sbizzarriscono privatamente quelli della American Family Association), così
i loro preziosi paraocchi verranno salvati, chi ci pensa??
Quanto possono essere meschini degli
adulti così ripiegati su se stessi e con la mente rattrappita e deforme per il
terrore, per strumentalizzare l’identità di genere di bambini troppo scomodi per
esistere perché li obbligano a guardare più in là del loro naso?? Qui
siamo ben oltre le opinioni personali che cercano legittimazione manipolando
dati scientifici e nozioni di sociologia, qui siamo ben oltre qualsiasi
spettacolare arrampicata sui vetri, qui si parla di crudeltà allo stato puro.
È crudele cercare di soffocare la voce dei bambini che nei ruoli di
genere schematici e rigidi in cui cercano di rinchiuderli non ci stanno o hanno
pure un’identità non conforme al genere assegnato alla nascita, crudele che quando questi bambini si
ribellano ed esprimono se stessi sul National
Geographic dimostrandosi un po’ meno burattini inconsapevoli del previsto
si debba correre a soffocare loro e prendendosela con chi invece ha permesso che
parlassero, crudele che si urli allo
scandalo perché “la disforia va curata, non assecondata” quando si sta
discutendo da anni di depatologizzarla nel DSM mettendola tra le malattie
legate al fisico anziché alla mente, in maniera non dissimile alle persone
intersessuali.
Fa molto più comodo rifilare al
pubblico di massa ignorante e un po’ meno terrorizzato di noi la storiella del
complotto del Gender, e continuare imperterriti a battere sul tasto della Natura,
sempre tirata in mezzo solo quando ci pare e piace e poi caduta nel
dimenticatoio come le vite spezzate che si commemorano ogni 20 novembre di
tutte le vittime di questo sporco giochetto avvelenato. Ma io stasera di questa
comodità mi sono rotta le ovaie, senza se né ma.
Senza se né ma ho ricordato le persone
transgender che ho conosciuto e quanto avrebbero avuto bisogno di leggere nella
loro infanzia dell’esistenza di Avery Jackson, di Jazz Jennings, o dell’educazione
all’affettività e del Gioco del Rispetto, ma senza spingerci troppo lontano, a
quanto ne avrei avuto bisogno io. E mi fa paura, moltissima paura, che la paura
di chi non ha empatia e Humanitas
come chi si informa, viaggia e riflette debba arrivare a spingere a tramare
piani di morte, fosse anche solo metaforica, fosse anche una morte fisica che
non si realizzerà mai. Mi domando che altro morirebbe insieme agli esseri umani
che vogliono annientare. Ma per stasera non ho più parole.
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